da Milano
Il 28 marzo del 97 un natante albanese entra in collisione, nel mare di Otranto, con la «Zeffiro», una nave italiana che tenta inutilmente di avvicinarla. La nave albanese, una motovedetta di 60 tonnellate è una di quelle imbarcazioni che siamo abituati a definire «carrette del mare»; fatiscente, residuato della marina militare albanese, ufficialmente può trasportare 30 civili. Quando limbarcazione esce dalle acque territoriali dellAlbania, la nave italiana cerca di avvicinarla ma la motovedetta riesce a svincolare una volta, una seconda, fin tanto che si capisce che ha qualcosa da nascondere, il controllo si fa più serrato e passa alla corvetta «Sibilla» che intima il fermo. Lultima goffa manovra diversiva della nave albanese è fatale; compie un movimento brusco, e la nave italiana nonostante i tentativi di frenare non può evitare il cozzo sulla fiancata verso poppa. Il bilancio finale sarà di 85 morti, 34 i naufraghi recuperati su un numero indefinito di clandestini a bordo. Tragedia, polemiche, accuse e contraccuse. Ma da allora poco è cambiato. I viaggi della morte continuano a fare vittime.
Nel 2002 altri due clandestini muoiono e 18 restano gravemente feriti nel mare tra Puglia e Albania in uno scontro con la motovedetta della Guardia di finanza che stava inseguendo il barcone. Nel tentativo di fuga gli scafisti sbagliano manovra e centrano la nave italiana. Lincidente avviene in acque albanesi, a poche centinaia di metri da una roccia affacciata sul Canale dOtranto, lultima frontiera per i disperati che attraversano lAdriatico.
Nel 2005 una collisione tra la polizia italiana di frontiera e una barca albanese con a bordo 27 clandestini è costata la vita a una coppia di ragazzi giovanissimi, 11 feriti inclusi due poliziotti. Sul gommone viaggiavano clandestini con accanto borsoni carichi di droga.
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