Quell’irresistibile tentazione di resuscitare la Balena bianca

Nostalgia di mamma Dc. L’ultimo a voltarsi indietro, come capita a chi contempla la propria giovinezza, è stato ieri Claudio Scajola: «Ora buttiamo via il Pdl - ha spiegato a Repubblica - serve una casa dei moderati che ci riunifichi con l’Udc». Lo sappiamo, Scajola fu sindaco democristiano di Imperia e quella stagione deve apparirgli come una cartolina esotica. Capita a molti, è successo a mezza nomenklatura in questi anni: le ragioni del cuore, ma qualche volta anche quelle della testa, fanno pensare che il miglior futuro coincida con il ritorno al passato. Solo qualche settimana fa, lo stesso capogiro ha colpito un democristiano di lungo corso come Calogero Mannino che nel solito laboratorio siciliano s’è inventato Iniziativa popolare, nelle intenzioni un raggruppamento centrista e una dimora per tutti i moderati. Quando gli hanno chiesto che cosa fosse in sintesi Iniziativa popolare, l’ex ministro dei trasporti ha subito chiarito quale fosse il brevetto cui s’ispirava: «È una nuova incarnazione della Democrazia cristiana».
Non c’è niente da fare. La Dc non passa e bussa nei sogni. La Dc è la mamma e sarà sempre, per chi l’ha conosciuta, la mamma. Un partito inclusivo, con molti angoli e senza spigoli, un partito in cui c’era posto per tutti, per i cattolici terzomondisti e per i padroni dickensiani, un partito in cui convivevano e trovavano una miracolosa sintesi personaggi differenti, talvolta contrapposti. Un partito di mediazione e mai apocalittico nei toni. Anzi, talvolta soporifero e ripiegato su se stesso. Un partito condannato, per via del Muro, a comandare. Ma senza la protervia e l’insolenza che ci hanno offerto certi potenti delle ultime generazioni.
È chiaro che gli Scajola, i Mannino, i Giovanardi, i Casini sentano il fascino di quell’esperienza che ha compattato per decenni milioni di italiani e ha segnato i loro profili personali. Si può anche sostenere che Berlusconi, il Berlusconi della discesa in campo nel ’94, abbia fondato una sorta di Dc 2.0, secondo l’immagine coniata da un politologo come Alessandro Amadori. Una formazione che guardava all’elettorato cattolico, ai valori tradizionali, alla famiglia, all’operosità della borghesia italiana, piccola e grande. Al suo radicarsi nelle tradizioni più rassicuranti. Ma la mamma creata dal Cavaliere era ed è una madre postmoderna, con elementi di innovazione portati, via tv, dalla società americana; il leaderismo, la morte delle correnti, la logica maggioritaria che costringe al taglio netto: di qua o di là. E alla decisione colma di responsabilità.
Forza Italia era una Dc non più Dc. La vecchia Dc era stata superata perché alla fine era il luogo dell’irresponsabilità, del gioco del cerino: dei governi balneari, del tirare a campare di matrice andreottiana, dell’esplosione del debito pubblico, il perfido regalo lasciato ad ogni italiano dalla Balena bianca, del clientelismo, del voto di scambio e (in qualche misura) della corruzione.
E poi mamma Dc era avvolgente ma non faceva sognare. È stato Berlusconi, sempre lui ad introdurre la dinamica del sogno nel linguaggio della politica: il mito del cambiamento, del benessere, della ricchezza. La Dc moderata era anche mediocre. Componeva, scomponeva e ricomponeva gli stessi pezzi della società con scosse impercettibili, con prediche da sbadiglio, con comizi senza piazza.
Il partito berlusconiano, invece, non ama le mezze misure. Corre e rincorre. Urla e attacca. Forza Italia e poi il Pdl combattono i nemici, i tanti nemici a cominciare dai poteri forti, li accusano, li sfidano e talvolta li delegittimano. Basti pensare alle guerre contro i giudici e le toghe rosse. La Dc aveva un passo felpato, un linguaggio più ecumenico, toni meno aspri e più arrotondati. Il pugno di ferro, se e quando c’era, era dentro il guanto di velluto. Forse, proprio questa antropologia spiega la voglia di Dc che torna oggi più prepotente che mai. Intendiamoci: la Dc non è mai morta del tutto sotto la cenere della Prima repubblica. Ma oggi, oggi che la guerra fra gli schieramenti raggiunge vette impensate, oggi che l’insulto, la provocazione, la piazzata sono all’ordine del giorno, l’amarcord diventa terapia, un rifiatare nella guerra che non finisce mai, un esorcizzare i troppi decibel di una mischia senza tregua.
Per quasi mezzo secolo è andata così. Le alternative alla Dc erano un esercizio di stile. E il rinnovamento era fantascienza da romanzi Urania. La Dc prendeva per mano gli elettori: li guidava e ne limitava i movimenti. Guinzaglio corto. C’è qualcosa da recuperare nel galateo, nel rispetto, nella sobrietà di allora.

Ma quella Dc era anche il tempio di liturgie ormai logore, di compromessi estenuanti, di equilibri fragili e di equilibrismi che spegnevano il minimo refolo di novità. Nostalgia sì. Rimpianto no. Anche se il passato non smette di sedurci Sottovoce.

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