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Quell’Italia infernale che si vede solo nei Tg

Tolti i cinque minuti dedicati agli insulti tra i politici, i notiziari televisivi parlano solo di sangue e processi. Per fortuna il nostro Paese è ben altro

Quell’Italia infernale che si vede solo nei Tg

Visto un qualsiasi Tg, l’impulso è buttarsi dalla finestra. Parlo per me. Se togliamo i cinque minuti dedicati agli insulti tra i politici che già predispongono all’espatrio, un Tg medio è così suddiviso: dieci minuti di collegamento con aule di tribunale in compagnia di pentiti di mafia, mafiosi non pentiti e Pm che vogliono l’ergastolo per la macchia sui pedali di una bici; altri dieci di ragguagli sugli omicidi del giorno e sugli incidenti stradali della notte; in coda la cronaca entusiasta per l’arresto di uno dei trenta o, in alternativa, dei cento più pericolosi latitanti. Fine del Tg. Se sei sopravvissuto, puoi goderti il successivo approfondimento su uno dei processi di cui si è appena parlato, sul curriculum del mafioso arrestato quel giorno, il pianto dei parenti dell’ucciso di turno e l’immancabile riflessione di Crepet o dei simil Crepet sull’indole giovanile a sfracellarsi con l’auto contro i piloni.

Non ti salvi. Qualche giorno fa sono capitato a mezzogiorno o giù di lì sul Tg di Italia 1, Studio aperto, che per ragioni di orario non vedo mai. Ha mostrato nell’ordine: un servizio sul processo di Perugia con riflessioni sulla ragazzina yankee e il suo presunto complice pugliese condannati rispettivamente a 26 e 25 anni; un altro sul processo di Garlasco al giovane indiziato per l’uccisione della fidanzata; un profilo di Fabrizio Corona condannato per estorsioni fotografiche a tre anni e otto mesi; una svelta riflessione sulle chiacchiere del pentito di mafia Spatuzza e sui silenzi del boss Graviano che non ha confermato le parole di Spatuzza. Quando poi restavano alcuni minuti per passare ad altro, il Tg ha invece ricominciato a illustrare nuovi particolari della sentenza di Perugia, fornito altri spunti sul processo di Garlasco e dedicato gli ultimi secondi a una ricapitolazione dei casi Corona, Spatuzza e Graviano, fissando infine appuntamento ai telespettatori di lì a qualche ora per ulteriori informazioni sui medesimi argomenti.

Se anche Studio aperto fa così - mi sono detto - siamo alla frutta. Per due motivi. Il Tg di Italia 1 è, per tradizione, dedicato ai giovani e dovrebbe essere, almeno parzialmente, diverso dagli altri Tg pensati per babbioni come me. Invece, salvo forse per qualche libertà di tono, si era impantanato nella stessa solfa luttuosa e giudiziario-criminale di tutte le altre reti: Rai, Mediaset, La7. L’altra ragione per cui mi aspettavo un po’ di aria fresca è che il direttore del Tg giovanile è Mario Giordano. L’ottimo e caro Giordano che ha guidato questo giornale negli ultimi due anni e che aveva spezzato più di una lancia contro l’avvilimento di un giornalismo tutto sbilanciato su guai, malaffare e scandali come se l’Italia fosse la sentina di tutti i mali. Addirittura, per combattere l’andazzo, Giordano aveva su queste pagine istituito una rubrica titolata, non ricordo bene, se le «Cose belle della vita» o «L’Italia che va», ma che insomma si ribellava al negativismo imperante. Se pure lui, così volitivo, - ho continuato a dire a me stesso - ci ha rinunciato è segno che il telegiornalismo nazionale ha preso una china che ci fa tutti tristi, abbacchiati, senza orgoglio di noi stessi e inevitabilmente complessati rispetto a qualsiasi altro popolo europeo e/o mondiale.

Io guardo con regolarità diversi telegiornali francesi e tedeschi, compresi i Tg austriaci e svizzeri. Non ce n’è nessuno che sia così menagramo come i nostri. Di processi non c’è quasi traccia. Se uno è tanto clamoroso da doverne parlare - succede massimo due volte l’anno - è affrontato con sobrietà. Si riferisce l’essenziale, non si prende posizione, lo scontro tra colpevolisti e innocentisti è totalmente assente. Gli incidenti sono ignorati a meno che non si tratti di carambole autostradali o carneficine ferroviarie. Sono considerati fatti della vita da non enfatizzare come lutti nazionali di grandi Paesi con decine di milioni di abitanti in cui le tragedie sono all’ordine del giorno. Idem gli omicidi e gli arresti dei briganti che ovviamente non mancano ma possono essere tranquillamente sottintesi senza degenerare in autoflagellazioni collettive. Il grosso delle notizie è riservato ai grandi avvenimenti interni - una decisione politica, l’inaugurazione di un’opera pubblica, ecc. - e internazionali. I mezzi busti sono calmi e misurati. Si collegano con Washington e si fanno raccontare l’essenziale dal corrispondente. L’inviato da Kabul è in giacca e cravatta, non vestito da guerrigliero come i nostri. Che palle, direte voi. Ma intanto è così.

Qui, siamo sommersi di mafia e mafiosi come se fosse il massimo problema nazionale. La Francia ha la malavita marsigliese ma la lascia ai film con Jean Gabin. Ha l’irredentismo corso ma non ci inzuppa il pane. Se parla dell’una o dell’altro e perché si è andati al di là della banale quotidianità del male. È anche vero che da quelle parti i politici non usano la criminalità per farsi guerra tra loro e la tv, di conseguenza, non è come da noi aizzata a schierarsi con questo o quello.

Credete forse che l’Italia abbia il record degli omicidi come sembrerebbe dalle cronache tv? Neanche per sogno. Siamo sotto la media europea: 14 crimini per un milione di abitanti. Come la Germania, meno della Francia. Nell’ultimo decennio, c’è stato da noi un calo vertiginoso degli assassinii, ma grazie alla tv non ce ne siamo accorti. I dati italiani sono questi: 1.042 omicidi nel 1995, 663 del 2006 (ultime statistiche complete). Roma ha 30 omicidi l’anno, come Parigi. Un’inezia rispetto a Londra che ne ha 169 e molto meno di Berlino (50). La differenza è che lì non ne parlano e qui ci facciamo sei Tg, sei volte al dì. Da noi, se per un giorno non c’è nulla da dire sulla mafia, ci si dilunga su un assassinio, se manca quello, si passa a uno stupro, in assenza a un incidente d’auto, a un processo, a uno scandalo e così via, tanto per tenere l’intera comunità nazionale sotto schiaffo.

Ora che mi sono sfogato, vi faccio una confessione: degli articoli che Giordano ha fatto scrivere sull’Italia che funziona ne ho

letto uno su dieci. Segno che anch’io cerco il sangue intrappolato come tutti nel masochismo nazionale. Però mi chiedo e giro il quiz a tutti voi: hanno torto i francotedeschi a non parlarne o siamo fessi noi a sguazzarci?

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