Gian Marco Chiocci
da Roma
Il messaggio più sinistro è nascosto tra le righe. Un codice innocuo che diventa un detonatore per chi sa decifrarlo. Due giorni fa Bin Laden torna a farsi vivo, in un nastro diffuso da Al Jazeera parla di Hamas e dell’Occidente che lo vuole isolare. Ieri tre esplosioni seminano morte nel Sinai, a Dahab. Un anno e mezzo fa interpreti e location erano diversi, ma il copione resta quello. Ayman Al Zawahiri, numero due di Al Qaida, sempre «ospite» della tv del Qatar invita i musulmani a «liberare la Palestina» e nomina il termine «compassione», in arabo «hamas». Poco dopo a Taba, nel nord del Sinai, le bombe fondamentaliste mietono decine di vite umane.
Quel riferimento ad hamas, che sia un partito o un semplice vocabolo, non è casuale. Secondo le prime analisi degli apparati di sicurezza egiziani girate ai Servizi collegati è un segnale alle cellule in sonno che fanno capo all’organizzazione Al Tawhid Wal Jihad, perché passino all’azione. Proprio in queste ore la struttura terroristica è alla sbarra di fronte alla corte suprema di Ismailia, che sta per emettere la sentenza per l’attentato di Taba, nel quale sarebbero stati coinvolti anche esponenti delle Brigate del martire Abdallah Azzam, che si ispirano alla guida spirituale di Osama. Le strutture investigative Mukhabarat e Amn Al Dawla avevano già valutato all’indomani della strage di Taba che l’ordine di colpire fosse arrivato con un segnale convenuto, e l’avevano identificato nella parola «hamas», grazie anche a intercettazioni ambientali. Il recentissimo messaggio dello sceicco del terrore che ha rispolverato quel vocabolo non è passato inosservato, ma l’Sos non è servito a evitare la nuova tragedia.
Secondo alcuni commentatori intervistati ieri sera da al-Jazeera ci sarebbero inoltre molte altre similitudini tra l’attacco di ieri e gli attentati di Taba e dello scorso luglio a Sharm el-Sheikh: esplosione simultanea di ordigni confezionati con lo stesso cocktail micidiale, come il Tnt miscelato con polveri ricavate da munizioni da guerra. L’insieme di elementi in comune fanno naturalmente pensare che dietro ai tre assalti ci sia un’unica regia: quella di Al Zawahiri che da tempo ha scommesso sull’escalation del terrore in Egitto. Quanto alla manovalanza utilizzata, sempre secondo gli 007 del Cairo, si tratterebbe di cellule «spontaneiste» collegate alla Jamaa Islamiya che transitano tra la striscia di Gaza e l’Egitto e che si sarebbero avvalse dell’aiuto delle tribù beduine del Sinai ostili al governo di Mubarak. Per quanto riguarda i possibili segnali premonitori di questo attentato, bisogna ricordare che appena sabato scorso il 27enne Ahmad Mohamed Gabr, leader della sanguinaria cellula salafita egiziana Taefa El Mansoura (Setta vittoriosa), ha dichiarato dal carcere che «attaccare obiettivi americani e israeliani in Egitto è in cima alle priorità del gruppo, in segno di vendetta per gli attacchi condotti contro i musulmani in Irak e in Palestina». Il quotidiano Al Ahram rivela il contenuto dell’interrogatorio a cui Gabr è stato sottoposto dall’alta procura per la sicurezza dello Stato. Il giovane capo, noto anche come Abu Mossab, avrebbe detto di voler «seguire i passi di Al Zarqawi, capo di Al Qaida in Irak, che dirige gli attacchi contro gli americani».
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