Insicuro, indolente, manesco. Mammone, solitario, goffo. E poi ancora collerico, ossessionato dalla discrezione, geloso. In vista della mostra di Edward Hopper a Palazzo Reale (apertura giovedì), la prima grande monografica a lui dedicata in Italia, un libro ne svela il lato più intimo, quello che non ti aspetti.
Dell'opera del pittore americano è stato detto molto, ma dell'uomo Edward Hopper (1882-1967) si sapeva, fino ad oggi, pochissimo.
Leggendaria del resto fu, anche negli anni della fama, la sua ritrosia a rilasciare interviste e quando nel '56 Time gli dedicò la copertina, l'artista si arrabbiò molto, incurante della eco mediatica scaturita dall'articolo (e del rialzo delle sue quotazioni sul mercato). Dietro questa paura di esporsi si cela un carattere tormentato e soprattutto una moglie, Josephine Nivison, detta Jo, risoluta a proteggere Hopper dalle possibili critiche esterne. Proteggere a modo suo, s'intende. Perché la donna sfogò le frustrazioni della vita privata sui propri diari, annotando compulsivamente le giornate spese accanto a un marito sovente in crisi di ispirazione: oggi quei diari e le sue lettere sono serviti alla saggista americana Gail Levin per redigere «Edward Hopper. Biografia intima», tradotto in italiano dalla casa editrice milanese Johan & Levi (pagg. 768, 35 euro), a novembre in libreria.
La vita privata dei coniugi Hopper è un quadro complesso, «puro Dostoevskij», scherzava, ma non troppo, Jo. «Edward non vuole mai parlare di niente - annota sul suo diario-. Cerco di inventare qualcosa per rendere la nostra vita più allegra, «più ricca». Non che io abbia bisogno di uscire per forza, ma mi piace guardare le persone o discutere delle cose, lui invece è come un cencio senza consapevolezza del passare delle ore, dei giorni, delle settimane, della vita».
Hopper, alto e magro, le labbra carnose e le orecchie grandi, è insicuro fin da piccolo del suo aspetto fisico. Figlio di un padre fallito negli affari e di una madre iper-apprensiva, è incapace di credere al suo talento, nonostante gli incoraggiamenti degli insegnanti. A 24 anni è definito dagli amici «cocco di mamma» e «bravo ragazzo», con le donne è una frana e nemmeno un viaggio a Parigi migliora le cose. «Timido come uno scolaretto inglese», a 41 anni incontra Jo che ne ha uno di meno: è un'artista, e vive sola. Per l'epoca, è una donna emancipata. Colta e minuta, diventerà musa, sostenitrice e compagna di vita di Hopper (muore appena 10 mesi dopo il marito).
Senza figli («sarebbe stato orribile se ne avessimo avuti», si sfoga sul diario), Jo riversa molte attenzione sui gatti, ma Hopper è geloso anche degli animali. «Non è facile vivere in due posti e cercare di nutrire due maschi, perché Arthur (il gatto, ndr) abita in 9th Street (lo studio di Jo, ndr) e Eddie (Hopper, ndr) in Washington Square. In ogni caso è meglio tenerli lontani», scrive sul diario. La loro casa di New York ha il bagno in corridoio e in condivisione: di tutte le faccende domestiche si occupa Jo, che abbandona la pittura e che rimpiangerà per tutta la vita, con acredine, questa scelta. Sono l'una l'opposto dell'altro: Edward ama la natura e la solitudine, Jo la folla. Jo crede nel suo talento, Edward soffre di insicurezza patologica: nel '36, quando ormai la critica americana loda apertamente i suoi lavori, si lamenta di non avere avuto adeguati riconoscimenti. Jo vuole dipingere, Edward la obbliga a posare per lui come modella, spesso nuda o in mise che lei non apprezza (nei diari, Jo lamenta anche la loro scarsa sintonia sessuale).
Edward ha pochi amici, considera sua moglie troppo passionale, ma va detto che nemmeno di se stesso ha stima, convinto com'è di non essere ricordato dopo la morte. Perennemente indolente, Hopper, durante un lungo viaggio per gli Stati Uniti alla ricerca dell'ispirazione, snobba la Monument Valley e pretende di tornare nella «solita» Cape Cod, dove i coniugi hanno una casa-rifugio, lasciando Jo sbigottita. «Inerzia, è questo il male di cui è vittima», commenterà sul diario.
Durante uno dei litigi più aspri, Jo annota: «Non c'è stato un momento di pace tutto il giorno. È stato terribile. Ho preso uno schiaffo e se solo ci fossi riuscita gli avrei dato un morso».
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