Quella bandiera granata che sventola nel giorno più amaro

Caro direttore,
ecco fatto, retrocessione. Nel sessantesimo anniversario dell’addio all'amato Grande Toro, questa amara conclusione non ci voleva proprio. Ce ne andiamo in B dopo squadre che all'inizio sembravano meno quotate di noi. Vergogna. Però, i giocatori ce l'hanno messa pure tutta per arrivare a questo - si da per dire - bel risultato. A quest'ora i nostri cari morti - vivi - si staranno già rivoltando nella tomba. Forza Toro, ma a quello vero. Come dire? A quello col cuore, con la forza e l'entusiasmo di vestire quella sacra, santa, bella, gloriosa maglia granata.
- Reggio Calabria

L’altra sera sono rientrato, caro Rachele, e fuori da casa mia c’era una bandiera granata. L’aveva messa mio figlio Lorenzo. Mia moglie scuoteva la testa scettica: «Andate in serie B e lui mette fuori la bandiera. Mah...». Era tardi, sono andato su, lui dormiva e io l’ho accarezzato. Bravo Lorenzo, hai capito tutto. È nei momenti di difficoltà che si tira fuori l’orgoglio. È quando si va in serie B che si tirano fuori le bandiere. Lo vedi? Tutt’attorno a noi ci sono finestre colorate di nerazzurro. Ma è fin troppo facile: sono capaci tutti di festeggiare le vittorie, per poi magari scomparire nei momenti bui. Provate voi a festeggiare una sconfitta. Eppure se il Toro esiste e resiste ancora è proprio perché ci siamo noi capaci di vincere proprio quando si perde, capaci di emergere dentro le difficoltà, di superare le batoste, di sfidare le tragedie. Questo significa essere granata: scalare Superga, sempre disposti a perdere tutto, tranne che noi stessi. Ti ricordi Lorenzo l’ultimo giorno felice con il nonno? Era il maggio 2003, anche allora ci fu una retrocessione, ancor più vergognosa di questa. Andammo in piazza, lui, tu ed io, e marciammo per il nostro Toro. Ti comprammo una maglietta per celebrare l’evento. Quale evento? La retrocessione? Sicuro. Nessuna altra squadra al mondo porta 50mila persone in piazza per celebrare una retrocessione. Noi sì. Noi siamo il Toro. A vincere sono capaci tutti, a perdere ci vuole coraggio. Tu ce l’hai, Lorenzo, e io oggi guardo quella bandiera fuori dalla porta e sono ancora più orgoglioso di te. La sai una cosa? Di questa retrocessione la cosa che mi dà più fastidio non sono i (troppi) errori arbitrali, le ingiustizie subite, i punti persi in modo scemo o il comportamento dei nuovi gobbi genoani, che sono andati a perdere a Bologna, hanno pareggiato in casa col Chievo e poi sono venuti a giocare la partita della vita all’Olimpico (addio rossoblù: il prossimo anno vi faranno scendere in campo con le maglie bianconere). No, quello che mi dà fastidio è la rissa alla fine di quel Toro-Genoa. Non si fa così, caro Lorenzo. Chi è granata davvero il destino lo prende a pugni in altro modo. Ma che ci vuoi fare? Che quelli di quest’anno non fossero veri granata l’abbiamo capito presto. Fosse arrivato un po’ prima Camolese, forse sarebbe riuscito a dar loro ripetizioni. Ma chissà. E adesso? Adesso caro Lorenzo, ci aspetta la B. Ricordi? Albinoleffe-Torino, perdemmo pure lì. Ci aspettano nuove sofferenze, nuove umiliazioni. Ma siamo preparati. L’ho capito vedendo quella bandiera che hai messo fuori dalla porta, nel giorno della serie B: in fondo noi siamo diversi dagli altri. E sai perché? Perché abbiamo alcuni valori che forse non fanno parte di questo calcio, e forse nemmeno di questo mondo, ma valgono più di una Champions League. E nessun errore arbitrale, nessun inguacchio rossoblù, nessun neogobbo, nessun Ciuccariello o Goveani potrà distruggerli perché sono scolpiti in granata nel cielo di Superga e dunque sono più forti dei giocatori che passano, degli allenatori, della società, di chi la guida. Quei valori sono nostri, soltanto nostri.

Granata fino in fondo per davvero. E per questo anche nel giorno della retrocessione noi possiamo sventolare i nostri colori con orgoglio dentro il cuore e fuori da casa. Chissà se tutti quelli che restano in A possono fare altrettanto.

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