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«Con quella bomba volevo solo fare paura»

Ha riconosciuto attraverso le foto tutti i suoi complici e uno zainetto mai esploso. Ma non parla di mandanti e giura: «Non sono stato io a confezionare gli ordigni»

Claudia Passa

da Roma

Nello zainetto-bomba che ha fatto cilecca c’erano anche dei chiodi assieme all’ordigno fatto di farina, diserbante, reagenti chimici e finanche una lozione per capelli. Ma «erano piccoli, non affilati»; «servivano solo ad aumentare l’effetto, ad accrescere il fragore della fiammata». Per «far rumore», per spaventare, «non per uccidere o far del male. E comunque quegli zaini non li avevo confezionati io».
Faccia a faccia per la prima volta con gli uomini di Scotland Yard, rasato, disteso e vestito di scuro, Hamdi Adus Issac non ha cambiato il copione del «suo» 21 luglio. Interrogato ieri per rogatoria nel carcere di Regina Coeli dove è rinchiuso in isolamento con l’accusa di terrorismo internazionale, l’etiope arrestato a Roma per il fallito attentato al metrò di Londra ha ripetuto agli inviati di Sua Maestà ciò che aveva già detto alla Digos, alla procura capitolina, al magistrato d’appello relatore del procedimento di estradizione: che il gesto doveva essere «dimostrativo». «Mi avevano spiegato - ha detto - che quegli ordigni non erano in grado di nuocere a nessuno, ma solo di far scalpore, mettere paura, dare un segnale contro il massacro di donne e bambini compiuto ogni giorno in Irak dalle truppe americane e inglesi. Far provare alla gente cosa si prova a vivere ogni giorno nel terrore. Non volevo uccidere, né volevo morire io: se lo scopo fosse stato quello di fare morti, ci saremmo riusciti».
Per oltre tre ore, di fronte a due agenti della Metropolitan Police, a un rappresentante della Crown Prosecution Service (la magistratura britannica), a un ufficiale di collegamento dell’ambasciata, al giudice d’appello Domenico Massimo Miceli e al sostituto procuratore Alberto Cozzella, Hamdi ha risposto in italiano alle domande contenute nella rogatoria londinese. Nessun coup de théâtre, nessuna variazione sul tema. Ma la sensazione è che gli investigatori d’Oltremanica non abbiano voluto scoprire troppo le carte prima dell’estradizione la cui udienza è fissata per il 17 agosto. E un colpo importante l’hanno comunque messo a segno allorquando l’etiope ha riconosciuto in una serie di istantanee i volti dei suoi complici.
I nomi dei quattro compagni Hamdi li aveva già consegnati agli inquirenti italiani, raccontando come si erano incontrati e perché avevano deciso di fare ciò che hanno fatto. Ma averli acquisiti direttamente è un passo che per Scotland Yard potrebbe rivelarsi decisivo nell’incriminazione dei componenti del «commando». E probabilmente è proprio ciò cui miravano gli agenti inglesi, che tornano in patria con in mano anche un altro importante riconoscimento: quello del quinto zainetto rinvenuto dietro un cespuglio nel parco pubblico di Wormwood Scrubs, a ovest della capitale britannica. Uno zaino-bomba uguale agli altri del 21 luglio, ritratto in una fotografia che Hamdi ha identificato con sicurezza, e che conteneva appunto dei chiodi.
Di possibili «mandanti esterni» o collegamenti con altri personaggi non si sarebbe neppure parlato. E se per l’avvocato Antonietta Sonnessa, difensore del 27enne etiope, «ciò vuol dire che nell’inchiesta non ci si riferisce ad attività poste in essere in esecuzione di progetti più ampi collegati all’attività di cellule terroristiche», un’altra ipotesi che circola è che, ottenuta l’identificazione dei complici, gli inquirenti d’Oltremanica non abbiano voluto calare sul tavolo altri elementi. Sul capo di Hamdi - accusato a Londra di associazione terroristica, detenzione di esplosivo e tentata strage - pende infatti anche l’inchiesta della procura di Roma, e qualcuno teme che questo possa ritardare l’estradizione. Anche se, va detto, i pm Ionta e Saviotti hanno assicurato che il loro operato «non intralcerà e non ritarderà» il lavoro degli investigatori inglesi, che ieri con i colleghi italiani hanno lavorato in un clima di «massima collaborazione».
Dagli sviluppi dell’indagine si saprà se il fallito attacco alla tube è stato davvero un «atto dimostrativo» (anche se, osserva un investigatore, «la rivendicazione politica non va in ogni caso sottovalutata»), o qualcosa di più. L’avvocato Sonnessa, in attesa di conoscere la perizia sul contenuto dello zaino, osserva che «un’azione terroristica destinata a uccidere sarebbe riuscita, o quantomeno sarebbe stata ritentata nei giorni successivi».

Ma gli 007 inglesi starebbero invece vagliando una serie di collegamenti che vanno ben al di là del gruppetto di teste calde reclutato in una palestra di Notting Hill.

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