Quella festa di consulenze per Rutelli

da Roma

Ha fatto storia, quella condanna «per gli effetti dannosi nei confronti del Comune di Roma cagionati dai suoi amministratori» inflitta dalla Corte dei conti a Rutelli e a un gruppo di suoi assessori nel 2000, per l’abuso di consulenze esterne. Un precedente interessante, a proposito delle «buone amministrazioni» di centrosinistra.
La condanna fu confermata - con riduzione delle richieste di rimborso - nel 2002, e ribadita dalla Cassazione appena due anni fa, quando la Suprema corte respinse l’ultimo ricorso di Cicciobello e dei suoi ex compagni di giunta.
Troppo disinvolti, tra il ’94 e il ’96, nel rimpolpare i propri uffici di «professionalità esterne», persone «di fiducia». Arrivando a nominare, sempre con contratto a termine, persino un coordinatore dei consulenti. E di fronte agli esposti, e all’interesse della magistratura contabile per l’andazzo «esternalizzato» del Campidoglio, nel ’97 arriva la legge Bassanini. Il ministro, marito di Linda Lanzillotta, all’epoca assessore della giunta Rutelli, provvede a normare la materia, e a certificare la legittimità del ricorso alle consulenze. Ma alla Corte dei conti non basta. Ci sono quei tre anni, quando ancora la legge non era arrivata, da giustificare. E i magistrati contabili non li giustificano, nonostante Rutelli si ostini a chiedere la retroattività della Bassanini. Non serve. Per la Corte, quei contratti sono «illeciti», e i soldi spesi per assumere i consulenti «un ingiusto depauperamento delle finanze comunali». Inevitabile la condanna per l’attuale esponente del Pd e per i suoi collaboratori. «Il danno concretamente subìto dal Comune di Roma, che si ripercuote in definitiva sulla collettività, è grave», mettevano nero su bianco i magistrati della Corte dei conti.

Ricordando come Rutelli e i componenti della sua giunta si fossero comportati in modo «contrario ai doveri di fedeltà e lealtà verso lo Stato, alla cui osservanza, peraltro, i sindaci e gli assessori sono particolarmente tenuti», provocando così «arbitrari e rilevanti impegni di spesa a carico del bilancio dell’amministrazione, mentre una corretta gestione avrebbe dovuto presupporre una esatta ricognizione delle risorse e delle professionalità disponibili all’interno dell’ente».

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