Quella pace che fa paura al premier

Quella pace che fa paura al premier

Berlusconi e il suo «monopolio tv»? «Un pericolo per la democrazia». Non è un caso se - proprio mentre tra Berlusconi e Veltroni nasce il dialogo, e il capo del Pd vuole inaugurare la stagione della «pacificazione» con l’eterno nemico - Prodi lascia cadere un giudizio così pesante.
Certo, il premier lo ha pronunciato in tedesco, parlando con la Sueddeutsche Zeitung, e tra le tante quella frase non è rimbalzata in Italia. Ma resta agli atti, e la dice lunga su come la pensi il premier a proposito di un dialogo che i suoi già ribattezzano «inciucio», come ai tempi (per lui infausti) della Bicamerale. Al posto di D’Alema ora c’è Veltroni, ma per Prodi i sospetti non cambiano, e non gli bastano le promesse di lasciarlo nel frattempo governare. E infatti, Palazzo Chigi avverte: le riforme «non si fanno in due», non ci possono essere «interlocutori privilegiati».
La saldatura di un asse preferenziale tra Pd e Forza Italia preoccupa Prodi. Innanzitutto per i contraccolpi che può avere sul governo: «Se i due si mettono d’accordo per fregare Casini da un lato, il Prc dall’altro e soffocare i piccoli, la coalizione va in frantumi», spiegano in casa prodiana.
Ieri sera, Prodi e Parisi hanno lasciato insieme Montecitorio dopo la fiducia. E il ministro della Difesa è tornato a perorare con un premier «già assai convinto» la sua causa: quella del referendum elettorale. Che al momento è certo un’arma nelle mani di Berlusconi e Veltroni per accelerare la riforma, ma che paradossalmente può tornar utile anche al premier. Perchè il quesito produrrebbe una legge «bipartitica» che però non consente di andare subito al voto, ma obbliga a lunghi e complessi aggiustamenti tecnici, da fare in Parlamento. Mastella minaccia di staccare la spina se il referendum non viene disinnescato, e Rifondazione lo teme come il diavolo.

Ma nessuno dei due, Parisi ne è certo, può permettersi di mandare all’aria Prodi e rompere i ponti col centrosinistra. Dunque, al premier potrebbe convenire di ostacolare «l’inciucio» e avallare la chiamata del popolo alle urne sulla legge elettorale.

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