Quella perizia di nascondere la notizia che riabilita Berlusconi

I giornali hanno ignorato o liquidato in poche righe il dietrofront dell’ex consulente dei Pm siciliani che ha cancellato 10 anni di accuse. I media hanno sempre enfatizzato le perizie di Giuffrida che diffamavano la Fininvest adombrando rapporti con la mafia. Ma sulla smentita solo qualche trafiletto

Quella perizia di nascondere 
la notizia che riabilita Berlusconi

A fare l’indignato che fa volar gli stracci, dopo anni di mestiere, cominci a sentirti anche un po’ scemo: le passioni si spassionano, il cinismo fa capolino, i toni alti e bassi li impari a regolare come quelli dello stereo, talvolta non riesci neppure più a capire dove comincia la tua opinione e dove quella del tuo ruolo in commedia. Ma qui, davvero, non è questione di gioco delle parti, la domanda è vera: com’è possibile che alcuni giornali, ieri, non abbiano completamente dato (completamente dato) la notizia che la famosa perizia-Giuffrida, quella che nel 1997 ipotizzava una provenienza oscura dei primi capitali Fininvest, è stata giudicata sbagliata e incompleta proprio dal perito che la elaborò? Come-è-possibile?
Riassunto brevissimo per chi avesse letto solo Corriere o Repubblica o Stampa o Unità, e non capisse quindi di che stiamo parlando: la Procura di Palermo, nel 1997, affidò al perito della Banca d’Italia Francesco Giuffrida l’incarico di verificare se dei soggetti terzi (tipo la mafia) avessero potuto contribuire a formare eventualmente il gruzzolo primordiale della Fininvest. La perizia, pur genericamente, non riuscì a individuare la precisa origine di otto operazioni, e partì da questo una macchina mediatica formidabile, un leimotiv che trasformò Giuffrida in eroe e Berlusconi in mafioso. Giuffrida, ora, ha messo per iscritto che le famose operazioni erano in realtà «tutte ricostruibili, e tali da escludere l’apporto di capitali di provenienza esterna al gruppo Fininvest»; non solo: Giuffrida ha ammesso che a margine della perizia fu sovente messo alle strette dalla Procura di Palermo e soprattutto che il lavoro non poté neppure terminarlo, perché il procedimento contro Berlusconi fu infine archiviato.
Circostanza che non impedì di riutilizzare la stessa perizia e la sua testimonianza, benché incomplete, nel corso del processo contro Marcello Dell’Utri per appoggio esterno in associazione mafiosa. Ora: come si valuta una notizia come questa, o meglio: come si valuta la smentita di una notizia e di una perizia di dieci anni fa? In cento modi, ma non c’è smentita che non vada calibrata secondo le conseguenze che la notizia falsa intanto abbia avuto. Nel caso della perizia di Giuffrida si parla di qualcosa che adombrò «mafia» attorno all’uomo più popolare del Paese, forse dopo il Papa, qualcosa che, come illustrato splendidamente da Luca Fazzo ieri su queste pagine, divenne architrave delle frotte di libri dei berluscologi Ruggeri & Guarino, poi rimpiazzati dall’altra coppia Gomez & Travaglio, senza contare le copertine dell’Espresso, quelle di Diario, il conosciuto libro L’odore dei soldi (quelli guadagnati da Travaglio, in realtà) scritto da Elio Veltri e Travaglio medesimo, lo stesso poi riversato nella nota e galeotta puntata con Daniele Luttazzi su Raidue, dunque sui centinaia di video reperibili sul sito Youtube.
Il sedimento decennale di una notizia-perizia del genere, ora smentita, ha creato mostri, si è trascinata come una pesca a strascico di sostanziali cazzate; per esempio su centinaia di blog, addirittura in un pamphlet coadiuvato dall’eurodeputato Gianni Vattimo e distribuito a Bruxelles in quattro lingue, e addirittura in appelli «Forza Giuffrida» senza contare l’incipit del famoso Caimano di Nanni Moretti, insomma classiche note di antiberlusconismo professionale. Ci vorrebbero in teoria dieci anni per pareggiare i conti, e non si può, d’accordo, le cose vanno come vanno, e però, ora, come-è-possibile non dare neppure la notizia? Neppure-la-notizia? Oddio, Repubblica l’ha con 14 righe a pagina 22, e il titolo è «Fininvest, niente causa al consulente dei pm di Palermo». Anche la Stampa ha pubblicato uno straccetto d’agenzia non firmato a pagina 18. L’Unità niente, e si capisce, anzi no, una cosa del genere non è perdonabile neppure su l’Unità, perché il direttore Antonio Padellaro è uno che le notizie perlomeno le ha sempre date. Non si pretende magari che possa titolare come ha fatto Libero di ieri, che in prima pagina ha sparato «Su Silvio un mucchio di balle». Ma che dire del solito Corriere della Sera? Non ha scritto niente. Niente. Presente il Corriere della Sera? Non ha scritto niente.
Ovvio che a Fininvest interessasse ristabilire la verità, è per questo che a suo tempo promosse una causa civile per forza di cose contro Francesco Giuffrida. Ma l’obiettivo era appunto la verità, non Giuffrida: nella transazione infatti il Gruppo riconosce «che i limiti della consulenza del dottor Giuffrida non sono dipesi da sua negligenza, ma da eventi estranei alla sua volontà». Chiusa qui. E pensare che nel tardo novembre 2006 l’apposito Marco Travaglio diffuse addirittura un appello a favore di Giuffrida, martire vessato dalla Fininvest: «Perché questo appello?», scriveva. Risposta: «Per rompere il silenzio e la solitudine che lo circondano». Ma quale silenzio.

Dieci anni di baccano fatto alle sue spalle, dieci anni di santificazione non richiesta per un funzionario che ora ammette la sua serafica verità. Il silenzio, silenzio su questa verità, è quello dei giornali di ieri e di oggi e di domani. Tendi l’orecchio: non si sente niente.
Filippo Facci

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