da Milano
La sua collocazione politica, diametralmente opposta a quella del premier Silvio Berlusconi, è nota. Del resto, in caso contrario, difficilmente il giudice torinese Livio Pepino sarebbe stato per anni presidente di Magistratura democratica, la corrente di sinistra del sindacato delle toghe. Ma un conto è non essere di centrodestra, altro è mettere nero su bianco, nellintroduzione di un volumetto del 2002 edito da Laterza dal titolo già di per sé significativo dellimpostazione, Attacco ai diritti, sottotitolo: Giustizia, lavoro, cittadinanza sotto il governo Berlusconi, quello che Pepino scrive sullallora come adesso presidente del Consiglio, sul suo governo e sulle più alte cariche dello Stato. Sì, perché in quelle poche pagine introduttive - appena 15 - di alcuni saggi tematici non proprio bipartisan (tra gli autori Sergio Cofferati e Nicola Tranfaglia) Pepino più che una sintesi, fa una requisitoria: una requisitoria contro Berlusconi, dipinto come una specie di golpista. Un fatto grave, tanto più grave visto che Pepino, oggi, è uno dei relatori del parere con cui il Csm - la sesta commissione giovedì scorso e ieri il plenum - ha bocciato la cosiddetta norma blocca-processi del decreto sicurezza. Il perché, leggendo quello scritto di sei anni fa, è facile intuirlo.
È impressionante leggere, oggi, quello che Pepino ha scritto nel dicembre del 2002 sui primi due anni del governo Berlusconi. Un atto daccusa in piena regola, il suo, con tanto di capo dimputazione in apertura: «In poco più di un anno scrive Pepino lattività del governo Berlusconi ha modificato in maniera significativa il sistema dei diritti, il concetto di cittadinanza, le regole della politica, lassetto dello Stato, il ruolo e le garanzie della giurisdizione: in sintesi, il nucleo forte della Carta fondamentale del 1948 e, con esso, la nostra Costituzione materiale». Attentato alla Costituzione, dunque. È questa la «colpa» principale del premier, reo di essere stato rieletto democraticamente dagli italiani il 13 maggio del 2001. Pepino insiste su questo punto. Per lui il governo Berlusconi è causa di «una rottura che riguarda non solo alcuni aspetti, pur importanti, della Costituzione del 1948, ma il progetto di società ad essa sotteso, la centralità dei diritti e lorizzonte di uguaglianza promesso nellarticolo 3».
Da qui alla teorizzazione dellutilizzo dello «scontro come metodo di azione politica» il passo è breve: «Lelusione sistematica del confronto aggiunge Pepino è proseguita anche quando è venuta meno la forza dei numeri, a costo di bloccare il funzionamento delle istituzioni. Ciò ha profondamente alterato il sistema politico aumentandone il tasso di conflittualità, emarginando i luoghi del confronto e della mediazione - a cominciare dal Parlamento - esaltando il rapporto diretto del capo del governo (sempre più capo tout court) con lopinione pubblica». E ancora: «Il dissenso sociale e politico è stato trasformato in elemento di disturbo (il famoso «remare contro») e poi, via via, in attività contraria agli interessi del Paese e financo in anticamera del terrorismo. Così la piazza (lantica agorà cuore della democrazia) è diventata sinonimo di violenza». La requisitoria di Pepino entra nel vivo. Si comincia dal lavoro e dal tema della modifica dellarticolo 18, allepoca al centro delle polemiche. Per il magistrato si ravvisano gli estremi di un «attacco al progetto di società disegnato nella Costituzione del 1948». Stesso giudizio per la Bossi-Fini e le norme per frenare il flusso di immigrati. Quindi il G8, i fatti di Genova del luglio 2001: «Genova accusa Pepino è stata la prima verifica di un nuovo progetto: da allora, complice la follia del terrorismo, lostentata militarizzazione delle città in occasione di qualunque manifestazione è diventata la regola... da allora lemergenza ha giustificato tutto o quasi».
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