Fu il generale Radetzky, e almeno di questo i milanesi dovrebbero essergli grati, a togliere dallabbandono, dopo i moti del 1848, la splendida «Villa» neoclassica costruita per Lodovico Barbiano di Belgiojoso tra il 1790 e il 1796. Il generale decise di usare il nobile edificio sia come sua residenza sia come sede diplomatica. E proprio in quelle sale fu firmata la Pace di Milano - era il 6 agosto 1849 - che sanciva la sconfitta dei piemontesi ad opera degli austriaci.
La «Villa» era stata progettata dallarchitetto Leopoldo Pollack, dorigine viennese e allievo del Piermarini. Ed era sorta nei pressi della contrada di Porta Orientale (lattuale Corso Venezia), affacciata sui viali del «pubblico passeggio», disegnati dallo stesso architetto che pochi anni prima aveva costruito la Scala. La distribuzione delle sale di questo gioiello neoclassico rispondeva alle più avanzate esigenze cerimoniali e anche funzionali: basti pensare al riscaldamento ad aria e al «bagno con servizi». «Il palazzo del conte Belgiojoso è sicuramente della più bella architettura - scriveva una nobile -. Vi è annesso un elegantissimo giardino allinglese, dove vi sono tempietti, pagode, cadute dacqua del Naviglio, una torretta rustica e unisoletta con ponte levatoio...».
Il 20 febbraio 1804 sulla porta del palazzo appare però un «bel pezzo di marmo nero» dove, a caratteri dorati, cè scritto «Villa Bonaparte»: dopo larrivo dei francesi, nel 1801, la villa era stata scelta come residenza di Gioachino Murat e di Carolina Bonaparte. Poi toccherà al vicerè Eugenio di Beauharnais, collezionista e mecenate. Il destino pubblico della Villa è legato allUnità dItalia. Come patrimonio del nuovo Stato Italiano, infatti, ledificio passa ai Savoia, diventando Villa Reale, e poi al Comune. Così è destinata a sede delle collezioni - formatesi grazie ai lasciti e alle generose donazioni -, darte moderna: dal Neoclassicismo fino ai lavori dei maestri viventi, fino ad allora conservate al Castello.
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