Quella visione fatale, sublime e tremenda

Quella visione  fatale, sublime e tremenda

A Bologna, in un vespro d’ottobre, con mio padre entrai nella chiesa di Santa Maria della Vita. Mio padre sedette su una panca, e io mi misi a vagare sotto le due cupole. Tutti i ceri non erano ancora accesi e l’ombra mi esaltava e mi spaventava. Di sotto all’organo scorsi una scala cupa che discendeva a un cancello chiuso verso la via. Vinsi il mio brivido, e discesi, pensando che laggiù in una nicchia fonda potesse trovarsi la grande Deposizione di terracotta che la mia zia Maria bizzoca m’aveva mostrata in una stampa. C’era. Intravidi, nell’ombra d’una specie di grotta, non so che agitazione impetuosa di dolore. Ascoltami. Piuttosto che intravedere, mi sembrò esser percosso da un vento di dolore, da un nembo di sciagura, da uno schianto di passione selvaggia. Ascoltami. Non dimenticherò mai quel Cristo. Era di terra? Era di carne incorrotta? Non sapevo di che sostanza fosse. \
Infuriate dal dolore, dementate dal dolore erano le Marie. Una, presso il capezzale, tendeva la mano aperta come per non vedere il volto amato; e il grido e il singulto le contraevano la bocca, le corrugavano la fronte il mento il collo. Ascoltami. Puoi tu imaginare che cosa sia l’urlo pietrificato? \ La Maddalena certo giungeva di lungi, dopo un’ora o un millennio d’ambascia, in atto di precipitarsi come su una preda agognata. Il suo amore e il suo dolore sembravano smaniosi di divorare. \
Ascoltami, ascoltami. Non t’ho detto tutto l’orrore. Ascolta. La visione sublime e tremenda era a contatto del vicolo lurido, a contatto dell’ignominia plebea. Di fronte, nel vicolo, c’era una beccherìa rossa. Il beccaio, quando aveva in bottega carne infetta da vendere e voleva frodare i gabellieri, la nascondeva ai piedi del Deposto, gettava nella nicchia della Pietà i quarti di bove graveolenti, le viscere putride. E là, per la porta di legno verdastro come la cancrena secca, accorrevano i gatti del vicinato e imperversavano, sotto la lampada fioca dalla moccolaia che putiva nel fetore. \
Ascoltami. Il tuono dell’organo rintronò sul mio capo, improvviso come lo scoppio del temporale, e l’atrio ne tremò come se il nembo del dolore si rinforzasse a scrollarlo.

Risalii la scala; rientrai nella chiesa; cercai mio padre, che si sbigottì rivedendomi così pallido e anelante. \ Oh non so dirti! Forse comprendi, forse tu sai. Te lo dico, te lo dico fratello: in quel punto io nacqui alla musica. Sì, fratello, ora io credo nella mia favola che è più viva e più vera della mia prima vita.

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