Quelle bugie odiose sono l’arma finale dei ladri di buona fede

Una ragazza che accusa uno stupro mai avvenuto. Una madre che invoca aiuto e chiede fondi per guarire la figlia malata che in realtà non ha patologie di sorta. Da che mondo è mondo si è speculato, si è lucrato sulla buona fede altrui. Dal tempo dei «lazarillos» e dei mendicanti che si procuravano apparenti piaghe con intrugli e tinture, l’invocare una giustizia che non spetta o il bussare senza diritto al buon cuore degli altri, è regola inveterata.
Che cosa dunque stupisce in questi ultimi casi? Perché rimaniamo tanto perplessi di fronte a una giovane donna che si inventa la più odiosa delle violenze che possa essere compiuta su un corpo femminile? Che non esita a sottoporsi a indagini, domande, ipotesi amare e umilianti? Forse a colpirci è la spregiudicatezza, l’inventiva sfrenata, la mancanza di pudore.
E ci domandiamo da che cosa tutto ciò possa avere origine. Un’ipotesi? Forse il riflettersi su menti fragili, facilmente influenzabili, di un’informazione ossessiva pronta a buttarsi su ogni caso di violenza, di crudeltà, di maltrattamento, su ogni omicidio (meglio se a sfondo sessuale) con una voracità onnivora che tutto macina, tutto mescola, ingurgita e poi rivomita in milioni di parole, di immagini, di commenti, di pareri da parte di psicologi, sessuologi, criminologi, sociologi, tuttologi.
Un’orgia verbale senza limiti né freni, un incrociarsi e scontrarsi di opinioni, dispute, litigi, accuse, insulti, travisamenti di cui sembra sostanziarsi il nostro attuale sistema di informazione e di cui siamo certamente colpevoli noi della carta stampata, ma di cui la massima responsabilità è senza dubbio del sistema televisivo che ha bisogno di alimentarsi continuamente della stessa poltiglia di immagini e parole che produce per rimpastarla, ingurgitarla di nuovo e sfornarla sotto altra veste, pena la morte per afasia.
Inventarsi uno stupro o una figlia malata non è soltanto il modo di compiere una truffa, ma è anche un mezzo per salire alla ribalta, richiamare su di sé le telecamere, entrare in quel circuito mediatico che molti maledicono ma di cui sembra che nessuno sembra fare a meno.

La ragazza che ha denunciato la falsa violenza con la scusa di volersi sottoporre a un controllo sanitario (come se non fosse bastato per risolvere i suoi dubbi recarsi in un qualsiasi ospedale), forse voleva solo balzare su quel palcoscenico, guadagnarsi un cantuccio di notorietà, acchiappare un microfono per alimentare una volta di più la grande giostra della «parola-più-immagine». Se c’è riuscita una qualunque Kharima perché non poteva riuscirci anche lei?

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