Ieri il ministro degli Interni Giuliano Amato è andato a riferire al Copaco
quel che ha trovato dopo due mesi di ferocissima «Inchiesta sulla
Commissione Mitrokhin» (come titolò il Corriere della Sera) e cioè nulla.
Ricordate? Il 26 novembre la Repubblica pubblicò un'intervista ad Evgueni
Limarev: quella che mi espose al vergognoso linciaggio dei nuovi cacciatori
di streghe della sinistra tutta, riformista e radicale unita nella caccia
all'uomo. In quell'intervista si affermavano cose gravissime su di me, reati
da ergastolo. E cioè che io, come Presidente della Commissione Mitrokhin, a Napoli in compagnia del
solito Scaramella, avevo scarrozzato Limarev in misteriose quanto illegali
«strutture» in cui trafficavano agenti, carabinieri e forse uomini dei
servizi segreti, in collegamento con una spruzzatina di Cia, costruendo
dossier su mio ordine. Io non vado a Napoli da anni, non avevo mai
incontrato questo Limarev, non so che cosa siano queste strutture e più che
altro non ho mai fabbricato o fatto fabbricare dossier su nessuno. Semmai io
sono un dossierato, ma questo è un altro paio di maniche e quando ho voluto
agire, sono andato in Procura portando un esposto denuncia. Tutto
vigliaccamente falso.
Partì così immediatamente una violenta e concentrata campagna di aggressione
e tutti i rappresentanti dei partiti di governo, più diversi ministri
vennero a lapidarmi: dal ministro Mastella il quale dichiarò che «Guzzanti è
indifendibile» a Fassino che mi accusò di attività eversiva, a Giordano,
Diliberto e poi giù giù fino all'ultimo Pecoraro Scanio. Un massacro basato
soltanto su un unico articolo di cui nessuno aveva controllato
l'autenticità, perché a nessuno importava nulla dell'autenticità. Un solo
articolo che spacciava per intervista quella che poi l'intervistato, con cui
ho trascorso cinque ore a registratore acceso nel suo rifugio in Haute
Savoie, ha definito una manipolazione nata con la richiesta di «trovare
qualsiasi cosa su Guzzanti», quando io non mi contentavo affatto di trovare
«qualsiasi cosa» su Prodi. Per lealtà verso tutti i lettori, anche quelli di
Repubblica, ho messo su Internet la voce dell'intervistato Limarev, come
quella di Gordievsky il quale afferma che nei primi anni Ottanta Romano
Prodi era il beniamino del 5° Dipartimento del Kgb, anche se non sa se fu o
non fu reclutato.
Ebbene, erano tutte balle. Ieri Giuliano Amato è andato a riferire al Copaco
che non ha trovato nulla di nulla. E dunque l'inchiesta sulla temeraria
ipotesi di una «Mitrokhin eversiva», servita per di più da agenti dello
Stato, è crollata miseramente, al punto che Limarev mi ha confessato di non
avermi mai incontrato. Non esiste nulla di tutto ciò che è stato lanciato
contro di me, per non parlare di Scaramella che resta in cella accusato di
calunnia nei confronti di un ex capitano del Kgb che Litvinenko definiva in
una sua lunga intervista, come un terrorista.
A questo punto, se l'Italia fosse un Paese civile, se esistesse un
giornalismo onesto imparziale, se esistesse una magistratura imparziale, se
i politici al di là delle «appartenenze» fossero anche delle persone
normali, mi dovrei aspettare delle scuse. Prima di tutto da Giuliano Amato,
il quale mi conosce da un quarto di secolo e che ha permesse che i giornali
definissero la sua inchiesta amministrativa come una inquisizione su una
Commissione del Parlamento (salvo emettere una annoiata nota in cui rendeva
noto che il diritto costituzionale è il suo forte e che lui non fa di queste
confusioni). Mi dovrebbe chiedere scusa Fassino, che mi conosce bene da
quindici anni, mi dovrebbero chiedere scusa coloro che sono stati indicati
come l'oggetto di pazzeschi dossier mai esistiti. E poi non è forse vero che
proprio il famoso video trasmesso da ITV1 in cui Litvinenko (poi morto
ammazzato) racconta su Prodi quel che gli aveva detto Trofimov (anche lui
morto ammazzato), è stato proprio da me segretato perché mancante di prove
conclusive e perché non volevo che potesse essere usato in campagna
elettorale?
Ma secondo Repubblica di ieri, io avrei costretto il solito Scaramella a
impacchettarsi i due fratelli Litvinenko (Maxim fungeva da interprete),
metterli davanti a una telecamera e far dire ad Alexander delle falsità da
usare contro Prodi, facendogli mettere in mano qualche centinaio di euro.
Che spudoratezza: fu proprio Repubblica, il 7 dicembre scorso, intervistando
Gordievsky a farci sapere che Litvinenko raccontava a Scaramella la storia
di «Prodi our man» almeno due anni fa. E inoltre Litvinenko ne aveva
parlato, appena ottenuta la cittadinanza britannica, con il deputato europeo
Gerald Batten il quale il 3 aprile 2006 chiese al Parlamento di Strasburgo
un'inchiesta sul passato pro-sovietico di Prodi, basandosi su ciò che gli
aveva dichiarato «my constituent», il mio elettore, Alexander Litvinenko.
Se fossimo in un Paese normale, le persone perbene dovrebbero sentirsi
soddisfatte: la verità alla fine trionfa e i malvagi vengono svergognati.
poiché siamo in un Paese in cui si stanno spargendo semi di totalitarismo,
non c'è affatto da stare allegri: che la verità trionfi non fa notizia. I
malvagi avranno aumenti di stipendio. Nessuno chiederà scusa ai diffamati e
tutto andrà avanti come prima e peggio.
Paolo Guzzanti
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