Quelle logge iniziatiche che videro Milano capitale di «fratellanza»

PIONIERI Furono i notabili napoleonici a fondare in città la prima massoneria italiana

S embra che a introdurre le idee massoniche a Milano, attorno alla metà del Settecento, sia stato un orologiaio ginevrino, Pierre George Madiot, fondatore di una loggia a cui si affiliarono parecchi nobili (i Castelbarco, gli Alari e i Casnedi tra gli altri) e qualche alto ufficiale dell'esercito. La data di nascita ufficiale della massoneria ambrosiana è però comunemente fissata al 1805, l'anno in cui alcuni notabili napoleonici costituiscono nel capoluogo lombardo il Supremo Consiglio d'Italia del Rito Scozzese Antico Accettato, cioè il primo nucleo di una struttura capillare, minuziosamente organizzata e con forti legami internazionali che si estende velocemente al resto d'Italia e che dà un contributo determinante alla storia del Risorgimento.
Milano è insomma il luogo di nascita della moderna massoneria italiana e resta la sua città di riferimento per buona parte del XIX secolo. In questo periodo la classe dirigente della città, quasi al completo, ha nelle logge i suoi punti di ritrovo abituali. Per capire quanto sia massonico l'Ottocento milanese è sufficiente dare una scorsa alla toponomastica del centro: Vincenzo Monti, Andrea Appiani, Pietro Maroncelli, Melchiorre Gioia, Gaetano Pini, Giuseppe Missori, per non citare che i nomi più conosciuti, sono degli illustri «fratelli», così come molti esponenti delle famiglie Belgioioso e Parravicini (nella cappella di questi ultimi al Cimitero Monumentale sono tuttora ben visibili la squadra e il compasso). Milano può addirittura contare su un arcivescovo «libero muratore»: si tratta del cardinale austriaco Carlo Gaetano di Gaysruk, titolare della diocesi ambrosiana dal 1818 al 1846, che in nome della fratellanza massonica intercede presso la corte di Vienna per proteggere i liberali lombardi, pressoché tutti membri di logge.
Tra Ottocento e Novecento la massoneria è al centro della vita economica della città. La Banca Commerciale Italiana, fondata a Milano dal «fratello» Giuseppe Toeplitz, si inserisce in una vasta ragnatela finanziaria costituita da logge europee e americane. Parallelamente, e in nome di quel progresso sociale da sempre auspicato dai «liberi muratori», la massoneria milanese dà un contributo determinante alla nascita della Camera del Lavoro. Tuttora esponenti della CGIL e membri del Grande Oriente d'Italia siedono fianco a fianco nel consiglio di amministrazione della Società Umanitaria, il lascito più importante di quella stagione di fervore massonico.
Filantropismo e alta finanza, spiritualità iniziatica e condizionamenti politici continuano a mescolarsi, nella storia delle «obbedienze» ambrosiane, per tutto il Novecento. Dopo lo scioglimento del Grande Oriente attuato nel 1925 dal Fascismo (peraltro fondato nel 1919 a Milano da ben sedici massoni e in casa del «fratello» Cesare Goldmann), le logge si ricostituiscono alla fine della seconda guerra mondiale. È questo il momento in cui il volto della massoneria assume il suo aspetto più opaco. Nascono varie logge coperte, dedite alla gestione di un potere occulto, come la P2. Ma anche come la meno nota (e molto meno deleteria) «Giustizia e Libertà» alla quale, secondo il massimo storico della massoneria italiana, Aldo Mola, avrebbero aderito esponenti di un potere trasversale che ha base a Milano: dal presidente di Mediobanca, Enrico Cuccia, al dirigente del PCI Gianni Cervetti.
Oggi la massoneria milanese è soprattutto un'istituzione culturale, che ha fortemente accentuato il suo aspetto spirituale e ha compiuto un grande sforzo di trasparenza.

I suoi membri sono soprattutto liberi professionisti e, in misura sempre crescente, intellettuali e artisti. Che hanno nel milanese d'adozione Salvatore Quasimodo, poeta innamorato della notte, del suo culto e dei suoi templi, un precedente illustre.

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