Quelle magiche "quinte" per gli show dei Gonzaga

I preziosissimi corami arredavano i locali della corte. E ora potrebbero tornare a farlo

Da molti anni evito le inaugurazioni delle mostre che non inauguro io. A Mantova sono venuto, come andavo da ragazzo, alla conferenza stampa per «Le pareti delle meraviglie. Corami di corte tra i Gonzaga e l'Europa», a cura di Augusto Morari. I discorsi sono stati brevi, efficaci. Dall'amico Enrico Voceri, presidente della Fondazione Palazzo Te, al direttore Stefano Baia Burioni, così grande e potente come è, all'assessore Andrea Murari, all'amico curatore che mi ha chiamato nei mesi scorsi per dirmi che aveva in mente questa impresa. Io avevo visto la sua mostra su Giuseppe Bazzani ed ero sicuro della sua capacità anche di muovere cose nuove e poco banali. Questa è la prima mostra che vedo in Italia da molti anni non ovvia, e di ricerca, di ricerca su un segmento anche difficile. Che poteva rischiare di essere per poche persone attente, competenti sulle decorazioni, sulle arti industriali, fra cui la professoressa Paola Frattaroli che è stata chiamata, dopo che lavorò per me alla mostra di Mantegna nella sezione di Verona, e che, coadiuvando Morari, ha messo insieme una quantità di notizie sulla funzione dei dimenticati corami che dovevano cambiare il volto di questi ambienti e saranno comunque visti, non solo in mostra, perché sono nel percorso del Museo di Palazzo Te.

Quindi, nel giro delle stanze, a partire dalla Sala dei Cavalli, si trova la porzione decorativa della zona inferiore delle pareti che poteva essere, in alcuni palazzi, nel Rinascimento, di stoffe, e che qui era di cuoi, che hanno decorazioni meravigliose, a partire dall'età di Giulio Romano, ben documentati, con una quantità di ritrovamenti anche in collezioni private, fino ad arrivare alla metà del Seicento, quando una fioritura di forme e colori anima le superfici che avevano motivi decorativi quasi astratti nel Cinquecento e nel primo Seicento. È quindi una scoperta, un modo nuovo di vedere Palazzo Te, perché sentiamo il tempo di queste sontuose decorazioni, e sentiamo come sempre il tempo ha mutato la nostra percezione degli interni del Rinascimento, mentre questi corami sono sopravvissuti come reliquie, ma senza patire la condizione di frammenti archeologici, lontane testimonianze di un mondo morto.

Qui il mondo è ancora vivo, e consente una ricostituzione (tra l'altro, Factum Arte ha realizzato riproduzioni perfette), e quindi teoricamente proprio la vasta Sala dei Cavalli potrebbe essere ricomposta con questa decorazione, che ci consentirebbe di vedere un risultato al di là dell'autenticità dei corami distribuiti in molti ambienti del palazzo, e talvolta frammentari. Perciò la esposizione dei corami a Mantova, per la gloria incorrotta e immarcescibile dei Gonzaga (e proprio la conservazione dei corami lo mostra) potrebbe ispirare l'amico Voceri, con il coraggioso sindaco Mattia Palazzi, a ricostituire il paramento inferiore delle sale spoglie, con un'emozione visiva certamente molto diversa da quella che abbiamo con il semplice intonaco bianco o grigio.

Dice bene, e con grande chiarezza, Augusto Morari: «Un vecchio e annoso sogno rimane nei palazzi: conoscere, intuire, riprovare le antiche emozioni della visione reale delle sale, ricche di oggetti che appartenevano alla famiglia Gonzaga, un orizzonte lontano, forse irraggiungibile. Aggirarsi nei saloni enormi e passare poi negli studioli a misura d'uomo di Palazzo Te o di Palazzo Ducale fa ancora oggi uno strano effetto. Le pareti sono nude, spoglie, prive degli oggetti che animarono gli ambienti: mobili, stipi, cassoni, sculture antiche e moderne, dipinti. Il tempo cambia gli aspetti, le forme, i colori. Il gusto si modifica, nuove mode avanzano, I significati e l'uso di strutture e spazi si trasformano. Nasce così il vuoto dell'interruzione del tempo. L'intervallo che intercorre tra gli affreschi e il pavimento: questa zona, attualmente restaurata a spatola e calce, è consona a una sistemazione museografica che dia risalto alle decorazioni parietali. (...) Negli ultimi anni, a Palazzo Te, sono stati coperti gli interventi a partiture architettoniche con finte modanature, dipinte a calce nei toni grigi, rosati e azzurri, ovviamente dal gusto neoclassico, eseguite da un pittore ornatista, che dovevano colloquiare col pavimento a terrazzo veneziano, dai disegni elaborati, eseguiti sotto la guida dell'architetto Paolo Pozzo. Nel 1773, infatti, il sovrintendente Romenati, avuto il parere della Commissione presieduta dall'architetto Pozzo, fa sostituire il pavimento di cotto in Palazzo Ducale, e così anche in Palazzo Te, col terrazzo alla veneziana, di lunga durata, non producente polvere e di spesa non minore di un selciato a quadroni in cotto e come ammodernamento per il nuovo uso dei palazzi da parte delle autorità militari. In molte sale di Palazzo Te e di Palazzo Ducale questo spazio è definito, delimitato da cornici in stucco aggettanti - i cornison da spalera - ricche di modanature, con elementi plastici decorativi, e da una serie di vivaci figure modellate. In questo spazio venivano appesi ai ganci, ancora visibili sotto la zona dei fregi e della decorazione ad affresco, arazzi, drappi e corami dalle tipologie decorative più svariate. La famiglia Gonzaga spendeva moltissimo per queste decorazioni e allestimenti, le cosiddette spalere, in cuoio o in tessuto, alle quali, durante le feste, si appoggiavano i cortigiani seduti sulle panche rivestite di treppa, un velluto di lana. Assicurati con anelli, rinforzati con galloni e conclusi con frange dorate e argentate, questi oggetti erano a pieghe larghe e creavano un senso di movimento, attraverso increspature e cangiantismi ricercatissimi».

Ecco perché questa è una mostra importante, senza che vi sia un grande nome di richiamo. Non c'è neanche il riferimento a Giulio Romano nel titolo. E «corami» è un sostantivo che non si usa da forse 350 anni. L'impresa di Morari è quindi una coraggiosa e originale iniziativa per quello che evoca e per quello che mostra. Mi pare importante che sia in un luogo come Palazzo Te, con una grande tradizione anche espositiva. Qui sono state fatte due mostre di Giulio Romano. Questa è anche più importante di quelle, perché ci ripropone Palazzo Te in una dimensione nuova e finora impensabile. Ma Augusto Morari ha indagato con un risultato straordinario per le persone che hanno attenzione e gusto per le arti decorative, che certamente, con mostre come questa, si diffonde. Le sue ricerche si sono estese, infatti, anche alla Camera Picta di Mantegna nel Castello di San Giorgio, individuando lo spazio dell'alcova, con i suoi anelli e i suoi tiranti per sostenere il baldacchino di corami, nello spazio solenne e luminoso degli affreschi.

Ora, procedendo, la ricostruzione di Factum Arte consentirebbe, senza alcun problema di tutela, di ricollocare tutti i corami in Palazzo Ducale, nel Castello, in palazzo Te, con perfette riproduzioni in 3D. Gli originali frammentari, soprattutto nei musei, e in preziose collezioni private, non si possono spostare se non temporaneamente. Quello che è certo, e che la mostra rende chiaro, è che la nostra visione del palazzo è stata deformata nel corso del tempo, e che ne potremmo avere un'estetica diversa, più intensa e fedele di quella consentita da un intonaco uniforme, definito neutro. Quando non morto. Lo si intende, con la ricostruzione proposta concettualmente, quando si vede la raffinatissima esposizione, benché poco illuminata per valorizzare compiutamente gli integri corami. Suggerisco al visitatore una pila.

La mostra è comunque utilissima, ed è favorita dal fatto che è allestita nel percorso di Palazzo Te, non nelle Fruttiere, e servirà a capire meglio gli spazi rinascimentale di Giulio Romano e, contemporaneamente, a far vedere la sofisticata qualità dei corami che sono, nella distanza della nostra visione selettiva, oggetti d'arte, come quadri che valgono per sé stessi. È bene immaginarli, invece, nella loro situazione contestuale, ed è questo l'aspetto più singolare della mostra, con tutta la ricerca che c'è dietro, e che ci dà gli elementi necessari per capire cosa è accaduto: i documenti, le lettere, le richieste, e il procedimento di esecuzione. Oggi quegli spazi mostrano una lacerazione. E, d'altra parte, non essendo l'intonaco attuale quello storico, può essere consapevolmente sostituito da un diverso paramento corrispondente a quello originale.

Non sarebbe una finzione, ma una ricostruzione anastilotica, come quella delle architetture classiche, che non danneggia nessuno.

Questa è la sensazione che ho avuto vedendo la mostra che è bella in sé, grazie agli oggetti sontuosi. Che qui vedi nel luogo dove stavano e dove potrebbero tornare. Con le atmosfere perdute che già ora potentemente ritornano.

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