Controcultura

Quelle "stele" moderne e classicissime di Quirino Ruggeri

Le opere dello scultore marchigiano celebrano la semplicità e i valori della vita

Bella è Fabriano. Bella e luminosa. Sono tornato dopo sette anni, quando preparai la grande e ricca mostra «Da Giotto a Gentile», replicata quest'anno con la riproposta di alcuni dipinti di Allegretto Nuzi, maestro dell'assente e mirabile Gentile da Fabriano, il più grande artista marchigiano prima di Raffaello. Scuola sublime, in molti momenti, la scuola marchigiana. Questa volta un critico di alta sartoria, Andrea de Marchi, duplicato di un altro dallo stesso nome, apre il suo saggio con ciò che gli resta da aggiungere dopo molti studi: «Nella lunga veste rossa, bordata d'oro, del San Venanzio, martire e cavaliere, all'estremità destra del trittico... Allegretto diede prova di uno splendido saggio di decorazione a sgraffito sull'oro, popolato di fiori e fogliami, di volatili dal becco proteso e tartarughe rampanti». Per queste novità, il cocuratore Matteo Mazzalupi sente il dovere (excusatio non petita) di chiosare: «La mostra su Allegretto Nuzi e il Trecento a Fabriano è un sogno che si avvera. Ma era realmente opportuna, appena sette anni dopo Da Giotto a Gentile? Noi crediamo di sì, fermamente». Meno i visitatori, se all'appuntamento si sono presentati in cinquemila, quando a «Da Giotto a Gentile» si precipitarono in 75mila. Le opere erano le stesse, stesse pitture e stesse sculture, anche se, questa volta, in minor numero. Sembra essersene reso conto, candidamente, soltanto l'ottimo presidente Dennis Luigi Censi che, chiamato in soccorso, ha concesso il suo contributo: «La Fondazione Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana non è rimasta insensibile a una iniziativa tanto meritoria, peraltro preceduta, nello stesso contesto storico-artistico, dalla mostra Da Giotto a Gentile. Pittura e scultura a Fabriano tra Due e Trecento, organizzata dalla stessa Fondazione nel 2014». E, aggiungo io, nella stessa sede, nelle stesse sale, con pressoché identico allestimento. Parole sante, in particolare quel «peraltro». Ma lasciamo perdere queste recriminazioni.

Il ritorno a Fabriano è sempre una festa, e l'accoglienza generosa e affettuosa. Con il presidente sono arrivati il consigliere Alaimo Angelelli e la vivace moglie, Roberto Sorci, la direttrice del museo Francesca Mannucci, sempre gentilissima, e l'assessora Ilaria Venanzoni in rappresentanza del cordiale sindaco Gabriele Santarelli. Ci aspettano le chiese, il Duomo con gli affreschi di Allegretto e di Giovanni di Corraduccio, il lindo museo diocesano con le custodi più colte che io abbia mai incontrato, la Scala Santa da me salita in ginocchio, le chiese di San Benedetto e della Maddalena con i capolavori di Orazio Gentileschi, l'oratorio del Gonfalone.

Ma la novità è la nuova Zona Conce, prodigio della Fondazione, dove c'è l'opportunità di sporcarsi le mani nella pasta di materie prime che costituiranno il foglio di carta, proprio come facevano i mastri cartai fabrianesi del XIII secolo. Utilizzando un telaio, agitandolo opportunamente, si arriva a un foglio colmo di acqua e fibre da adagiare su un feltro di lana: feltro sopra feltro, sotto il peso di una pressa idraulica, si compie l'opera: un foglio di carta fatto a mano.

Ma sommamente meritoria è l'istituzione di un museo dedicato a due scultori: Quirino Ruggeri ed Edgardo Mannucci. In perfetta disposizione e illuminazione, le sculture di Quirino (1883-1955) sono un monumento alla semplicità e alla essenza della vita. Ma mi urgeva, prima di tutto, perfezionarne l'allestimento, restituendo dialogo e simmetria ai due grandi rilievi con la Filatrice e la Tessitrice, capolavori del 1928, ai vertici di «Valori Plastici», in un realismo quotidiano arcaico e solenne, alternativo al realismo magico di quegli stessi anni. Nel lavoro delle donne Ruggeri sente una solenne dignità, componendo due invenzioni moderne e rigorose che hanno la regalità di due stele classiche. Regine, sedute sul trono dei loro strumenti, sono le umili filatrice e tessitrice, che ora si fronteggiano, dopo il repentino e imprevedibile riallestimento, compiuto in diretta con Alaimo in quella luminosa giornata, sotto l'assistenza di Beppe Patitucci pilota.

Ruggeri veniva da una esperienza umile e severa, trasferita in arte sotto lo stimolo di Roberto Longhi. Era stato, giovanissimo, in America Latina, per esercitare il mestiere di sarto. Quasi quarantenne era rientrato in Italia e si era stabilito a Roma. Qui si fece riconoscere come sarto abile e innovatore e, per il suo stile originale, fu ricercato da artisti e letterati. È suo, ad esempio, il celebre cappotto bianco/nero tipo optical di Filippo Tommaso Marinetti. A Roma, inoltre, prevalentemente da autodidatta, ma anche attraverso la frequentazione dello studio di Arturo Dazzi, si appassiona alla scultura. Il suo debutto artistico avviene alla I Biennale della capitale, nel 1921. Entra in contatto con Mario Broglio e con il gruppo di «Valori Plastici», frequenta i pittori e gli scrittori del Caffè Aragno nel clima del «ritorno all'ordine».

I primi lavori di Ruggeri testimoniano un evidente interesse per il mondo primitivo e per le grandi civiltà del passato; il suo repertorio formale attinge alla scultura romanica, egizia, indiana, azteca, etrusca e greca arcaica. Crea opere di intatto ordine compositivo e ritmico, con una costruzione plastica essenziale e rigorosa. I suoi interessi si estendono dall'arte italiana del Trecento e Quattrocento, al Purismo arcaico di Arturo Martini e al Cubismo di André Derain. Egli stesso scrive: «Agli inizi mi piacevano specialmente le cose primitive, pensavo che la scultura dovesse arrivare ad una espressione di forme semplici, come le rocce ed i sassi levigati dai fiumi». Sono di questo primo periodo opere come i composti Amanti e la arcaica Vergine del convento, Donna seduta (Penelope), Tessitrice e Filatrice, e la contegnosa coppia dell'Incontro, caratterizzate da una solenne monumentalità e una solidità di forme accompagnate da freschezza e spontaneità di invenzione. Aggiunge Giovanni Uzzani: «con uno sguardo alle ricerche contemporanee che andava conducendo Carlo Carrà nella sua rilettura di Giotto; alla pittura di dimessa naturalezza di Ardengo Soffici; alla forbitezza moderna della pittura di Antonio Donghi; a Felice Casorati, melanconico e ironico cerebrale».

Nel corso degli anni Trenta Ruggeri realizza sculture che si avvicinano al Decorativismo monumentale e celebrativo, con grande e consumata eleganza compositiva. Mirabili la indolente e balthusiana Ragazza con la corda, la sognante Ragazza alla finestra. Perfetta, nell'astrazione delle plissettature inamidate, secondo il mestiere di sarto, la figura, severa e insieme frivola, di Cecilia Barbieri, del 1940.

E comunque, con intatta convinzione e perseveranza e grande varietà, a partire dagli anni Venti, e fino alla fine degli anni Quaranta, Ruggeri coltiva anche la ritrattistica, con notevoli risultati, tra candore e verità, dalle contegnose bambine Liliana e Maria Grazia Bottai, alla pensosa Valentina, alla sensibile Altea, alla sorniona Augusta, alla attonita Maria Vittoria Simongelli, alla indolente Gianna, alla composta e sognante Giuliana, alla impulsiva Gabriella, alla paciosa Daria, alla compiaciuta contessa Anselmi, alla composta Adriana, fino alla matrona Mimise Guttuso. Più rari i ritratti maschili: un pensoso e severo Luchino Visconti, un ironico e impertinente Corrado Cagli. E vari personaggi, oltre la vita quotidiana, come Bruno Barilli, Alfredo Casella, Anna Banti e, naturalmente, Roberto Longhi. In alcuni casi la resa psicologica del soggetto è favorita da ricercate deformità ricomposte.

Anche nei formati più grandi, ad altorilievo, a figura quasi intera, Ruggeri rigenera la scultura classica in una sintesi che non risale a modelli o a fonti ma elabora nuove invenzioni formali. Egli non cerca la verità, ma l'archetipo di un sentimento, una autentica misura umana. Lo vediamo nel Ritratto di bambina del 1945 e perfino nell'estremo, rispettoso e familiare, Ritratto di Mimise Guttuso del 1947, nei quali si avverte il sentimento del tempo. Poi tutto si arresta, si supera una soglia, come un salto nel buio, probabilmente di significato filosofico, di riflessione sul destino dell'uomo.

È negli anni Cinquanta, nell'ultima fase della sua vita artistica, che il percorso creativo di Ruggeri muta radicalmente. Sceglie di dedicarsi esclusivamente alla pittura e si sposta verso soluzioni astratte, con un potente cromatismo. Le sue tele mostrano una ascendenza costruttivista, in coerenza con l'Astrattismo italiano di quegli anni. L'artista sembra trascinato, con il consueto rigore, in un'incessante ricerca evolutiva che registra, anche drammaticamente, ma senza poesia, i profondi cambiamenti del mondo che lo circonda. Le sue intuizioni formali influenzeranno l'esordio artistico del suo più notevole allievo, Edgardo Mannucci, con cui oggi divide il museo della Zona Conce.

Una ragione in più per tornare a Fabriano.

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