Curiosa e intelligente è la remota mostra «Arcadia e Apocalisse», a cura di Daniela Fonti e Filippo Bacci di Capaci, che documenta 150 anni di paesaggi italiani in pittura, fotografia, video e anche installazioni, in Palazzo Pretorio a Pontedera. La lunga cavalcata è ricca di pitture inedite e originali e anche di punti di vista di fotografie non prevedibili. Ed è giusto l'incrocio di fotografie e pitture in questi cruciali 150 anni, e non per le ricerche formali o i tagli, come accade nel dialogo tra pittura e fotografia, impaginato, molto opportunamente, nella mostra su De Nittis a Ferrara, o in quella su «Arte e arti», nella pinacoteca Züst di Rancate, sia pure di un limitato campione. Qui non è questione di «combattimento per un'immagine», come proponeva anni fa Luigi Carluccio, intendendo il confronto serrato tra pittura e fotografia in una competizione impossibile. E, dopo lo scarto iniziale dell'avviamento, stravinto dalla fotografia, in una dimensione più sottile di continuità e affinità per le quali, nell'obiettivo della mostra, l'una e l'altra concorrono al medesimo risultato: documentare e, pur in tempi recenti (ma dell'infanzia della fotografia, che mostra luoghi intatti e perduti), testimoniare la primitiva e anche ingenua denuncia di Michelangelo Pistoletto, che lo ha portato (dalle terme di Caracalla a Ventimiglia al Trentino, in Arte Sella, a Borgo Valsugana), a installare il suo Terzo Paradiso: «Il Primo Paradiso è stato quello in cui la specie umana era totalmente integrata nella natura. È quindi venuto il Secondo Paradiso, ovvero quello artificiale. A seguito di una lenta crescita, fattasi esponenziale nell'ultimo secolo, esso ha portato un progresso inimmaginabile, accompagnato, però, al degrado e alla consunzione planetaria. Oggi l'umanità intera si trova nella necessità di concepire un nuovo paradiso terrestre, attraverso la connessione e l'integrazione dei due precedenti paradisi, quello naturale e quello artificiale. Siamo in un momento di passaggio epocale che richiede una vera e propria metamorfosi della società umana. Con l'espressione Terzo Paradiso nominiamo un possibile percorso per l'umanità intera: un nuovo mondo. Cogliendo la funzione simbolica dell'arte, ho deciso di proporre un bolo con il quale rappresentare questo cammino. Tale simbolo è tratto dal segno matematico di infinito».
Mi sono sempre chiesto, di fronte a queste programmatiche dichiarazioni di principio, con le relative denunce sul degrado e sulla distruzione del paesaggio, perché sia sempre assente la preoccupazione per la sistematica devastazione, condotta scientificamente negli ultimi 20 anni, dei paesaggi delle regioni meridionali d'Italia, le più belle, dalla Puglia alla Sicilia, attraverso la cosiddetta energia rinnovabile, nelle violente installazioni di pale eoliche e pannelli fotovoltaici, le une e gli altri distribuiti, con visibile intenzione criminale, cancellando memoria e identità dei luoghi, nella indifferenza di Legambiente, Fai e soprattutto di paladini di grandi cause ambientalistiche come Salvatore Settis e Tommaso Montanari. Sola eccezione Italia nostra, nelle stagioni di Carlo Ripa di Meana e di Oreste Rutigliano.
Tutti indifferenti e imbelli davanti a questa grandiosa azione di distruzione. Altro che Terzo Paradiso. Ostinato silenzio, distanza, assenza di sensibile reazione, mentre interi comparti di bellezza del paesaggio sono cancellati per sempre, fino all'ultima bravata dei Parchi in Sicilia, in una programmazione criminale. È una catastrofe di incredibili proporzioni per vastità e cancellazione di vedute immemorabili; e tanto più se si misura questa devastazione epocale con la documentazione della mostra di Pontedera, con le sue 10 finestre sul paesaggio che ci mostrano, in uno con la pittura, la fortuna e declinazione di un genere: il paesaggio nella fotografia italiana, con campioni di un pittoricismo così romantico da essere incompatibile e imparagonabile con qualunque veduta pittorica. Pensare come la fotografia potesse consegnarci la veduta di Milano nel 1947 (un altro mondo) o ritornare a vedere la campagna romana nelle fotografie di Giacomo Caneva, così come nei quadri di Nino Costa e Enrico Coleman, ci induce a non abbassare la guardia nel rispetto della natura incontaminata, per frenare il passaggio dall'arcadia all'apocalisse. Il Paradiso perduto è tutto in queste immagini, di Boldini, di Balla, di Boccioni, di Sartorio, di Grubicy, di Cristiano Banti, di Angelo dall'Oca Bianca, di Angelo Morbelli. L'idea di natura passa dall'idillio leopardiano dell'Infinito alla desolazione dell'Idroscalo di Ostia alla morte di Pasolini.
La mostra di Pontedera propone visioni e vedute di incomparabile bellezza in tutti i luoghi d'Italia, e ogni paesaggio è struggente se pensiamo a come quei luoghi si sono trasformati. Ed è vero che ogni paesaggio è uno stato d'animo, come mostrano Giacomo Balla e Benvenuto Benvenuti, Angelo Morbelli e Gaetano Previati. Perfino nel tempo audace del Futurismo, con le vedute apocalittiche di Ram e Thayath. Ai paesaggi corrispondono anche le tipologie locali, tradotte in forme: le Marche di Licini, la Toscana di Soffici, la Roma di Donghi, le colline bolognesi di Morandi, le marine di Carrà al Cinquale, la Puglia nelle fotografie di Giuseppe Cavalli, il mare del nord di Arturo Nathan, a Trieste, l'isola di Capri di Gennaro Favai in dialogo con il Brenta dello Studio Pedrotti. Manca forse la poesia di Brisighella nelle vedute di Ugonia. Un capitolo importante è quello delle demolizioni della guerra, a partire dai paesaggi di bombardamenti di Afro, cui succedono le ricostruzioni dei gasometri di Vespignani, fino a Un istante dopo di Fabrizio Clerici.
Notevole anche il capitolo sull'arte italiana dagli anni '60, nell'incrociarsi di ricerche sperimentali come quelle di Piero Gilardi o delle fotografie estatiche di Guido Guidi, di Mario Giacomelli, di Mimmo Iodice, di Mario Cresci (cui si deve la rinascita di Matera), di Franco Fontana, opportunamente messi a confronto con i Paesaggi anemici di Mario Schifano. Essenziale la presenza di Giorgio Basilico, in dialogo con le vedute pittoriche di taglio fotografico di Giuseppe Bartolini. Ed è giusto chiudere con alcune visioni profetiche e devastanti, come quelle della Marghera di Luca Campigotto, o della surreale e desolata Pietrasanta di Matteo Basilè, o del grande Cretto di Burri a Gibellina di Aurelio Amendola.
Tutto sembra finito, quando arriviamo a Silvia Camporesi, con un parco di detriti ammassati, e alla veduta dei mostruosi ripetitori su Monte Giogo, nel Parco Nazionale dell'Appennino tosco-emiliano, di Andrea Botto. In alcuni luoghi siamo ben oltre l'apocalisse.
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