In Piazza San Pietro a Roma manifestazioni e concerti non se ne fanno. E se si fanno sono cose adatte al luogo. Perché questo non deve valere anche per Piazza Duomo a Milano? Il ragionamento di Vittorio Sgarbi, assessore alla Cultura del Comune di Milano, non fa una grinza.
La Curia di Milano va dicendo questa cosa da tempo. Ultimamente l'ha di nuovo detta Monsignor Luigi Magagnini, arciprete del Duomo. All'appello del sacerdote si unisce ora quello del sacerdote laico della bellezza: lo Sgarbi. Dicevamo: come dargli torto? Non è una questione di bigottismo ma ben più profonda. I luoghi hanno, infatti, una vocazione e non c'è dubbio che quella del Duomo con la sua piazza, non è quella delle manifestazioni e dei concerti di vario tipo. Possono essere fatti ma devono avere un legame con quel luogo. In termini altisonanti si chiama genius loci.
Lo strumento per fare tutto questo è, sostanzialmente, indifferente. Può essere una delibera amministrativa, può essere il buonsenso come ha detto Giovanni Terzi, può essere la raccolta del consenso più esteso possibile come ha detto Riccardo De Corato. Può essere questo e può essere quello. L'importante è raggiungere il fine.
Come ha detto l'assessore più polifunzionale d'Italia, l'idea è stata di Andrée Ruth Shammah che accanto alle considerazioni estetiche ne ha aggiunte alcune di natura funzionale. Perché non fare queste cose in periferia? Si rispetterebbe così la vocazione di Piazza Duomo e si contribuirebbe a rendere più vivaci spazi che oggi non lo sono. Si otterrebbe cioè una funzione anche di tipo sociale molto desiderabile.
Come si vede da queste considerazioni siamo lontani da una sorta di fondamentalismo sacrale che vuole imbalsamare luoghi, piazze, privandoli della vitalità per la quale sono nati. Si tratta, piuttosto - come dicevamo - di recuperare alla natura sacra alcuni luoghi.
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