Quello svarione della Cassazione nella sentenza sul processo Mills

MilanoSono poche righe, quasi perse nella corposa sentenza (quarantun pagine) con cui la Cassazione ha dichiarato prescritto il reato di corruzione commesso dall’avvocato inglese David Mills. Secondo i giudici romani, Mills incassò seicentomila dollari dalla Fininvest come ringraziamento per avere coperto - quando, nella seconda metà degli anni Novanta, era stato interrogato dalla procura di Milano - il ruolo di Silvio Berlusconi nel complesso sistema di conti e società off shore che costituiva il «comparto B», ovvero il settore estero della contabilità del Biscione.
Ma secondo Niccolò Ghedini, legale di fiducia di Berlusconi, i giudici della Cassazione nel sostenere la loro tesi incappano in una specie di strafalcione, dando per assodato un elemento che in realtà indagini e sentenze hanno smentito e smontato.
Il passaggio è delicato, perché riguarda i due figli maggiori di Berlusconi, Marina e Pier Silvio. Nelle indagini sui fondi esteri di Fininvest e Mediaset, come è noto, i due sono stati prima indagati e poi archiviati. Ma la Cassazione torna a chiamarli in causa: «Si era reso necessario distanziare la persona di Silvio Berlusconi da tali società al fine di eludere il fisco e la normativa anticoncentrazione, consentendo anche, in tal modo, il mantenimento della proprietà di ingenti profitti illecitamente conseguiti all’estero e la destinazione di una parte degli stessi a Marina e Pier Silvio Berlusconi». Insomma, il Cavaliere avrebbe avuto un movente robusto per convincere Mills a stare zitto. E quindi è verosimile che i soldi da lui incassati provenissero effettivamente dall’azienda del Cavaliere.
Peccato, fa notare Ghedini, che da quei conti - i conti di cui Mills parlò ai magistrati milanesi - a Marina e Pier Silvio non sia mai arrivata una lira. Scrive Ghedini in una nota: «La testimonianza di Mills resa tra la fine del 1997 e l’inizio del 1998 e che sarebbe stata a dire della Cassazione non falsa, bensì reticente, si sarebbe incentrata in principalità nell’escludere la riferibilità di alcune società al presidente Berlusconi e ai suoi figli.

Come emerge chiaramente dagli atti, e dalla sentenza stessa, tali primigenie società non erano poi mai state utilizzate né in queste vi erano stati passaggi di denaro, tanto da indurre la stessa Procura di Milano a chiedere e ottenere l’archiviazione per Marina e Pier Silvio».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica