(...) Ogni rigo dedicato allanalisi del voto mancato, alla dinamica della campagna elettorale di Bruno Ferrante e del centrosinistra è una denuncia dei «limiti di una cultura politica non compiutamente riformista» ovvero della non volontà di «andare oltre i propri confini» e «intercettare adeguatamente le spinte creatrici, le energie e le creatività ma neppure le pulsioni, le ansie e le angosce di una società in continua trasformazione».
In soldoni: «Anche dopo la necessaria svolta riformista di Pesaro del 2001 la distanza che si è prodotta nel decennio scorso, nel rapporto con Milano, non è ancora stata colmata». Gap che si traduce in un «radicamento elettorale» inesistente tra «gli operai» e «quasi estraneo al lavoro autonomo, agli artigiani, alla piccola e media impresa» ma pure «tra i disoccupati, i pensionati e le casalinghe». E sul banco degli imputati cè, evidentemente, una segreteria che non solo non è riuscita a sfondare masticando di riformismo solo a parole, ma neppure a riportare alle urne quello stesso elettorato che il 9 aprile aveva decretato la vittoria dellUnione. Dibattito dunque senza peli sulla lingua per tentare di «non disattendere» quella «grande aspettativa che è nascita di un nuovo soggetto riformista».
Obiettivo vitale per allargare le prospettive della Quercia ma il documento unitario approvato dalla direzione provinciale manca ancora di un dettaglio non da poco: «come» e «quando» dare corpo e sostanza allo scatto in avanti. Unica certezza: «Limpegno a settembre per il rafforzamento dei gruppi dirigenti locali». Che è un cambio di marcia per superare le divisioni.
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