Insomma, il conto è presto fatto: la musica italiana vale il 52 per cento del mercato (la Fimi diffonderà oggi i dati definitivi del 2010) contro il 41 della musica internazionale, mentre il rimanente 7 per cento è di proprietà del repertorio classico. Perciò è ovvio che Sanremo sia un appuntamento centrale e raccolga intorno a sé le attenzioni degli addetti ai lavori, mica solo della stampa assatanata per gli spacchi di Eli o Belèn. Sì si, direte, però nessuno lo ammette. Dopotutto con il Festival quasi tutti applicano il cosiddetto «metodo Dc»: per carità - si diceva negli anni Settanta - questo partito fa schifo, non lo voterei mai. Poi però alle elezioni prendeva il 33 per cento. E così molti addetti ai lavori (non Fimi, però) oggi minimizzano l’importanza di questo evento, salendo sul carro conformista che la musica migliore è quella che non se la fila nessuno a parte i giornali specializzati. In realtà, sotto sotto, i discografici non rinunciano alla rarissima possibilità, talent show a parte, di azzerare lo start up dei debuttanti, ossia ridurre ai minimi termini le fatiche del debutto e amplificare, grazie alla tv, la penetrazione sul mercato. Se il passaggio all’Ariston funziona bene, la gavetta e di conseguenza gli investimenti sul cantante si accorciano di anni e di milioni. Prendete Arisa: era nessuno, le è bastata una serata e oggi è dappertutto. E Sanremo è anche l’ultima spiaggia per rivitalizzare carriere a corto di ossigeno, e quindi di fatturato. Oddio, spieghiamoci bene. Come confermano gli esperti, il grosso delle vendite è nel periodo natalizio, quando sotto l’albero finiscono i migliori titoli dell’anno, quelli più attesi. Succede da sempre. Ma è a febbraio che si pianificano le stagioni discografiche, ossia quando va in scena il Festival di Sanremo e, soprattutto, arrivano i suoi risultati. Perciò qui all’Ariston, volenti o nolenti, passano i mammasantissima e i talent scout delle discografiche, tutti insieme appassionatamente giusto per capire che aria tira. E’ il potere di Sanremo, signori. Chi è un fan integralista dei Metallica o dell’hip hop più estremo magari può resistere e obiettare. Ma oggettivamente non può negarlo. Specialmente in questo momento di crisi. Facile fare gli snob quando – anni Ottanta e Novanta – le casse erano piene. Un po’ meno utile oggi, con l’industria discografica in rianimazione e il web che per le major è come il motore a scoppio per i cocchieri di inizio Novecento: pericolo mortale. Intanto, come confermano anche i dati di vendita, la (o le) compilation legate al Festival volano molto alto in classifica e hanno soprattutto l’irrinunciabile funzione di tastare le inclinazioni del mercato. Non per nulla, anche per la fortunata coincidenza che la ricorrenza settimanale di pubblicazione dei dischi è stata anticipata rispetto al passato, la compilation festivaliera esce domani, e gli immediati risultati di vendita sono pronti per essere indagati da chi se ne intende. Perciò Sanremo è un tester fondamentale. E così vale per tutti o quasi i grandi eventi che la tv è ancora in grado di mantenere. Come i Grammy Awards nel favoloso Staples Center di Los Angeles, andati in scena l’altra sera con un bel po’ di sorprese che condizioneranno le vendite e i trend a venire. Ad esempio, addetti ai lavori e appassionati a parte, pochi conoscevano la band country Lady Antebellum, che insieme a Lady Gaga, stavolta ha fatto il botto. Bene, tra poco se ne parlerà in tutto il mondo (e complimenti al maestro Riccardo Muti, non è da tutti vincere un Grammy per un Requiem di Verdi in uno show con Lady Gaga che arriva dentro un uovo gigante). Idem per Esperanza Spalding, bravissima e misteriosa, che tra le rivelazioni ha battuto Justin Bieber e da oggi è un punto di riferimento dei discografici. E così continua a essere il Festival di Sanremo, il nostro «Grammy Awards» con il valore aggiunto delle canzoni inedite. Un capitale enorme, non c’è che dire.
E ieri lo hanno confermato anche Mazzi e Morandi: «Sanremo dovrebbe essere considerato come Venezia e Cannes e diventare una grandissima mostra della canzone italiana». Ma la discografia sfrutta il Festival come le case di produzione discografiche fanno in Laguna o sulla Croisette? Su questo (anche su questo) si gioca il futuro della musica italiana, mica solo di cinque serate tv.È questa l’ultima spiaggia per rianimare il mercato
Le vendite in leggera ripresa grazie al repertorio italiano trainato dal Festival. Però la discografia non sempre sfrutta l’appuntamento
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