«Con questo governo la libertà è a rischio»

«Prodi ha instaurato uno stato di polizia tributaria. Comanda la sinistra radicale»

Fabrizio de Feo

nostro inviato

a Montecatini (Pistoia)

Il pathos è quello dei giorni migliori. L’accoglienza del Palamadigan, stracolmo in ogni ordine di posti, simile a quella riservata a una rock star.
Il desiderio di arrivare al cuore della base giovane di Forza Italia e del centrodestra palpabile fin dalle prime battute. Nel giorno che verrà ricordato per la grande paura, per il malore vissuto in diretta sul palco di Montecatini, Silvio Berlusconi pronuncia un discorso vibrante. Un appello a imbracciare i valori positivi della libertà, a perseguire quel «primo diritto naturale», quel «marchio di fabbrica inscritto in ciascuno di noi» che è la libertà, a capire che «l’uomo viene prima della società e dello Stato». Un messaggio riassumibile in uno slogan che il leader azzurro ripete quasi con rabbia: «Lo Stato siamo noi».
La lezione del leader azzurro si muove sul filo dei valori. Una trama che Berlusconi intreccia arricchendola con il tessuto dell’attualità politica. Ma anche facendo risuonare l’allarme per le intrusioni continue nel privato degli elettori che il governo Prodi sta attuando. «La nostra massima preoccupazione è veder ridotti i margini di libertà nel nostro paese: corriamo questo rischio» ammonisce il presidente di Forza Italia. «Il governo toglie a chi ha di più non per dare a chi ha di meno ma per spendere di più per le proprie clientele: con il decreto fiscale abbiamo instaurato uno stato di polizia tributaria. Il governo vuole che tutto passi dal controllo bancario in modo che ogni cittadino possa essere controllato da un esponente dell’amministrazione che può intimidirlo e renderlo meno libero. Mai - prosegue - il nostro governo ha preso un provvedimento per colpire i nostri avversari politici».
La ragione di questi provvedimenti liberticidi va ricercata, per Berlusconi, negli equilibri interni alla coalizione di centrosinistra. «Il governo ha la sua ideologia che è quella del comunismo ortodosso di sempre. Il governo agisce sotto dettatura della sinistra radicale. Anche i riformisti devono subire i loro diktat. La verità è che la sinistra fondamentalista è padrona del governo». Scattata la fotografia del momento politico attuale, Berlusconi si proietta nel futuro e si concentra sui futuri assetti del centrodestra. Lo fa lanciando un appello per «convincere tutti i partiti della Casa delle libertà a fondersi in un unico grande partito delle libertà». «Dobbiamo essere missionari e promulgatori della libertà» esordisce. «Serve una nuova discesa in campo di tutti noi. Io non posso farlo da solo. Serve il vostro impegno per combattere chi ha preso il potere nella notte degli spogli e degli imbrogli e che ora, nella giunta per le elezioni, ci nega strenuamente di ricontare le schede e addirittura cerca di capovolgere la realtà. Oggi non tutte le forze della coalizione, dopo avervi aderito, sono convinte della necessità di un grande partito della libertà. Io sono intimamente convinto che sarà la gente a imporre a chi fa politica, a noi, l’esigenza della nascita di questo grande partito. Credo - prosegue il presidente di Fi - che oggi nella gente e soprattutto fra i giovani, questo partito sia già una cosa che esiste».
E poi rivolgendosi direttamente ai giovani dei circoli di Dell’Utri, lancia quella che lui stesso definisce una provocazione: «Perché non assumete voi per primi l’iniziativa di far nascere i circoli della libertà nell’unico partito della libertà in Italia, in tutti i paesi d’Italia? Sarebbe - conclude - una cosa splendida, meravigliosa». È il partito unitario il grande sogno dell’ex premier, «l’eredità» che vuole consegnare alla storia. «Occorre che la coalizione della CdL faccia un passo in avanti e che da coalizione si trasformi in una federazione di partiti, retta dal principio della democrazia.

Su ogni decisione si vota, con un coefficiente magari elevato, per esempio il 70-80% dei voti della coalizione, ma se c’è anche un solo partito che dice di no, quel partito per restare nella federazione deve accettare il voto della maggioranza e adeguarsi. È semplice. Questa - conclude - è la regola della democrazia».

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