Milano - C’è un solo dettaglio su cui - adesso che l’esistenza di un’inchiesta è impossibile da negare - la Procura di Milano accetta ieri sera di fornire una verità ufficiale: «Silvio Berlusconi non è iscritto nel registro degli indagati e non è oggetto di questa indagine». Ma a palazzo di giustizia sanno perfettamente che non sarà questa precisazione a sminuire l’impatto mediatico della faccenda nata dalle rivelazioni di «Ruby»: perché, anche se il premier non è il bersaglio diretto e formale dell’indagine, di fatto l’inchiesta sta andando a scavare talmente a ridosso della sua persona, delle sue frequentazioni e delle sue consuetudini da garantire una sarabanda giornalistica da fare impallidire il caso D’Addario.
C’è, in realtà, un passaggio della vicenda su cui Berlusconi rischia comunque di venire chiamato in causa direttamente, ed è un passaggio tutt’altro che marginale: la telefonata che da Palazzo Chigi arriva alla questura di Milano la sera del 27 maggio scorso, con cui - stando a quanto riferito ieri da Repubblica - viene ordinato l’immediato rilascio della giovane marocchina, fermata poco prima per un’accusa di furto. Su questo punto la Procura sta indagando. Da chi partì l’ordine? E perché? In serata la questura ha dato la sua versione dei fatti: «In quelle sei ore la ragazza, fu identificata e furono contattati i genitori. Quindi, in mancanza di posto in comunità di accoglienza, d’accordo con il Tribunale dei minori, venne affidata a una persona che si era offerta di prendersene cura, perché la ragazza non poteva essere trattenuta oltre dal momento che la sua situazione non prevedeva alcuna misura detentiva». Ma il comunicato non parla della telefonata che sarebbe giunta da Palazzo Chigi. E su questo particolare verrà interrogato dai magistrati il questore di Milano, Vincenzo Indolfi, destinato ad altro incarico pochi giorni fa. E quando il questore avrà spiegato chi diede al suo capo di gabinetto l’ordine di rilasciare la ragazza, l’indagine sbarcherà inevitabilmente a Palazzo Chigi.
Non lontano dal capo del governo punta, d’altronde, anche il filone d’accusa principale, quello relativo al favoreggiamento della prostituzione minorile. L’iscrizione nel registro degli indagati (insieme all’agente delle dive, Lele Mora) di due volti noti dell’entourage del Cavaliere - il direttore del T4 Emilio Fede e la consigliere regionale Nicole Minetti - non nascerebbe semplicemente dalle tre visite che «Ruby» racconta di avere effettuato ad Arcore, senza peraltro partecipare ad alcun dopocena a luci rosse. «Per ipotizzare il reato di favoreggiamento non basta certo un singolo episodio», fanno sapere fonti vicine agli inquirenti. Il problema riguarderebbe cioè altri episodi della vita di «Ruby», riferiti nelle decine di verbali di cui è finora venuta alla luce solo una piccola parte.
E ieri sera, durante il Tg4, Fede si è difeso così: «Non ho mai commesso nulla di illecito, e non potrei mai farlo finché non verrò chiamato lassù.
Io sono rispettoso della giustizia ma soprattutto della mia coscienza, di uomo e di giornalista». E ancora: in questa vicenda «ci vuole una grande forza fisica e psicologica, e anche onestà e rispetto per la magistratura».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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