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La rabbia di artigiani e commercianti: "Il governo ci soffoca"
La protesta unanime dei lavoratori autonomi contro la revisione degli studi di settore: il popolo delle partite Iva si ribella
La protesta unanime dei lavoratori autonomi contro la revisione degli studi di settore: il popolo delle partite Iva si ribella
Milano - Mai così compatto, il popolo
delle partite Iva è schierato a
battaglia contro la stangata degli
studi di settore «aggiustati»
al rialzo. All’appuntamento milanese,
nella sala della Camera di
Commercio, non manca nessuna
delle organizzazioni di artigiani,
commercianti e piccoli imprenditori:
è la seconda volta che accade
nel giro di pochi mesi, e il motivo
è sempre lo stesso, l’attacco di
Visco alle piccole imprese, fatto
di pressione fiscale e di burocrazia
elefantiaca. I nuovi «indicatori
di normalità economica», per
il mondo del lavoro autonomo,
sono la goccia che fa traboccare
il vaso.
Apre le ostilità Carlo Sangalli,
presidente di Confcommercio:
«Un’operazione calata dall’alto,
senza adeguato confronto e approfondimento
- dichiara - L’asticella
dei ricavi è stata posizionata
troppo in alto rispetto al fiato
corto di tanti contribuenti, oltretutto
cambiando le regole fiscali
in corso d’opera, con i cosiddetti
indicatori di normalità economica
applicati retroattivamente, alla
faccia dello Statuto del contribuente
». Da qui la richiesta presentata
all’unanimità: «Moratoria
degli indicatori per il 2006 e
revisione degli studi attraverso
un confronto con le associazioni
di categoria».
Il fantasma dello sciopero fiscale
aleggia sulla riunione. Giorgio
Guerrini, presidente di Confartigianato,
si incarica di ridimensionarlo,
maal tempo stesso di alzare
il tiro: «Non vogliamo bruciare
bandiere, ma dare un segnale
al governo: Visco ha fatto ancora
una volta i conti sbagliati. Si colpiscono
sempre gli stessi: perchè
gli indicatori di normalità economica
non vengono applicati ad
Alitalia, per esempio, o alle Ferrovie?
O magari al pubblico impiego,
che gode oltretutto di ammortizzatori
sociali per noi inesistenti?
Certo, adesso arrivano segnali
di attenzione da certe forze
politiche: guarda caso, quelle
che si sono prese una bella libecciata
- lo dice proprio così, alla
toscana - dopo le amministrative.
Se fossimo in un Paese serio,
non saremmo arrivati a questo
punto».
Una sfumatura più possibilista
nell’intervento di Marco Venturi,
presidente della Confesercenti,
che accenna all’incontro con
Fassino: «anche lui - dice - ha
espresso la volontà di frenare
questa tendenza: d’altronde, se
vengono messe in croce le piccole
e medie imprese si mette in
croce l’intero sistema economico
italiano».
Infatti, come ricorda Giacomo
Basso, presidente di Casartigiani,
«in Italia c’è un lavoratore autonomo
ogni tre occupati: in
Francia uno ogni venti». Dal
2000 ad oggi, la galassia del lavoro
autonomo nel nostro Paese ha
generato 1,2 milioni di nuovi posti
di lavoro: nello stesso periodo,
sottolineano le organizzazioni,
la grande industria ne ha persi
circa 150mila. Solo fra il 2000
e il 2004 hanno visto la luce oltre
130mila nuove unità produttive.
«Il governo dovrebbe farci crescere,
non abbatterci», sottolinea
Ivan Malavasi, presidente di
Cna. Tanto più che non si tratta
solo di micro imprese: «gli studi
di settore riguardano tutte le
aziende fino alla soglia dei 7,5
milioni di ricavi, cioè la stragrande
maggioranza - ricorda Giorgio
Guerrini -. Non per nulla preoccupano
anche il presidente di
Confindustria, Montezemolo».
Il nodo sta nel rapporto tra
pressione fiscale e spesa pubblica:
«Un cortocircuito da risolvere
- afferma Carlo Sangalli, nelle
conclusioni - Non si può usare gli
studi di settore come una sorta
di Bancomat per fare cassa a spese
dei lavoratori autonomi. Le
tasse vanno pagate, siamo i primi
a dirlo: la lotta all’evasione e
all’elusione va condotta con determinazione,
ma senza la ricerca
di facili capri espiatori».
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