Il rabbino: «Parole che fanno chiarezza»

Parole che non lasciano indifferenti, quelle che dalla Terra Santa risuonano in tutto il mondo. Parole e gesti che il mondo ebraico aspettava dal Papa per riprendere un cammino di dialogo troppe volte interrotto da incomprensioni e incidenti.
«Con grande soddisfazione» le accoglie Giuseppe Laras, presidente dell’assemblea rabbinica italiana. Anche se invita a «vedere se ci saranno anche in futuro le condizioni di questo dialogo» fra chiesa ed ebrei. E uomo del dialogo Laras lo è sempre stato, capace però di parole anche severe. Per esempio sul caso Williamson, il vescovo lefebvriano riammesso nella chiesa e causa di polemiche e tensioni per le ripetute dichiarazioni negazioniste sulle camere a gas. La voce del rabbino Laras, una delle più autorevoli dell’ebraismo italiano, si era alzata per chiedere un «periodo di decantazione» prima del viaggio del Pontefice in Israele: «C’è troppa irritazione e troppo sospetto» aveva detto.
Rabbino Laras, Benedetto XVI ha gridato il suo «mai più» Olocausto, e ha messo in guardia contro «l’antisemitismo che continua a sollevare la sua ripugnante testa». Parole nette.
«Le dichiarazioni del Papa sono da recepire con grande soddisfazione, perché chiariscono tante cose, dopo le tensioni del recente passato».
Il Pontefice ha ammonito affinché le sofferenze dell’«orrenda tragedia» non siano «mai negate, sminuite o dimenticate».
«Mi sembrano parole da salutare con grande compiacimento. Ma è molto importante capire se il Papa è entrato nello Yad Vashem, il memoriale dell’Olocausto, di fronte a quella targa di cui tanto si è parlato, che ricorda Pio XII».
È entrato nel Memoriale, ma gli organizzatori della visita hanno stabilito che non passasse di fronte alla controversa didascalia su Pio XII.
«Non capisco. Poteva dire che non condivideva, che il predecessore ha fatto ciò che doveva. Non sarebbe stata una deminutio capitis per lui. È difficile da valutare questo omaggio».
Il Papa ha ribadito di essere come i suoi predecessori «impegnato contro l’odio». Questa sua visita giudicata in Israele «molto positiva» potrebbe preludere a una riscrittura di quella didascalia?
«Francamente è molto difficile da dire adesso. Ora forse non è possibile, ma in un futuro prossimo potrebbe essere interpretato come un segno di distensione. Non ora però, non a caldo. Vediamo se anche in futuro ci saranno le condizioni per farlo».
Le autorità israeliane hanno accolto Benedetto XVI con grande calore. Possiamo considerare rimarginate le ferite causate dal caso Williamson?
«Speriamo, me lo auguro. Non saprei cosa è stato di questo personaggio, se è stato lasciato al suo posto oppure no».
Benedetto XVI ha piantato un ulivo, simbolo di pace, con il presidente Shimon Peres. Due «umili lavoratori» nella vigna della pace...
«Un’immagine molto bella e significativa, tenendo presente che l’ulivo è una pianta millenaria. Speriamo di sì. Speriamo dunque in una pace durevole».
Qualcuno in Israele avrebbe preferito un più «basso profilo» nell’accoglienza al Papa.

È stata notata qualche defezione, di autorità religiose o istituzionali.
«Mi sembra la dimostrazione che le cicatrici del passato hanno ancora il loro peso. Dobbiamo andare avanti senza dimenticarle. Senza esaltazione eccessiva, ma anche senza alcun pessimismo».

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