Radar, muri e pattuglie Così l’Europa frena la marea dei clandestini

Si alzano le barriere, si inventano tecnologie. Gli Stati dell’Unione Europea hanno una parola d’ordine che li accomuna: tenere il ponte levatoio alzato. E respingere gli immigrati clandestini. Non possono entrare in Spagna, in Italia, in Grecia, a Malta. Non si scandalizzi quindi quella parte di Europa buonista, che abita su, al Nord. Giù al sud, la linea comune è difendersi dalle incursioni. È così che è nato Eurosur, un sofisticatissimo sistema di rilevamento satellitare voluto dall’Unione Europea. Fuori il mar Mediterraneo. Le zattere dei disperati senza terra e senza documenti arrivano da lì. Occorre prevenire e respingere.
Il segnale corre lungo tutta l’autostrada verso Gibilterra. Le voci in arabo dei programmi radiofonici si moltiplicano. Il Marocco è a un passo. Uno stretto separa la Spagna dalle coste africane. La traversata è facile, come per arrivare a Lampedusa. Per questo ai trafficanti è sempre venuto naturale scegliere Tenerife o la Sicilia. Eppure i traffici in Spagna si sono stoppati. La situazione è tornata sotto controllo. Radar, dispositivi tecnologici, muri hi-tech. E poi accordi e interventi di cooperazione. È la risposta anti-clandestino di Zapatero. È la sua tolleranza zero che si concretizza, che dà risultati, che sostiene la stessa linea americana, quella che ha deciso di costruire un muro lungo 1200 chilometri per separare dal Messico, da dove arrivano gli immigrati, quella del governo maltese che all’arrivo di carrette del mare inviano guardie costiere per allontanare ospiti indesiderati. Zapatero, il leader progressista, il socialista, quello laico, che difende e appoggia le minoranze, è diventato il nemico più grande, che tra i primi ha detto no ai flussi di immigrati incontrollabili. È dal 2006 che la Spagna mette a segno respingimenti su respingimenti.
Nel 2007 la Guardia civile spagnola ha diretto l’operazione Indalo. Nella missione c’erano uomini e mezzi italiani, portoghesi, francesi, maltesi, tedeschi, ciprioti e rumeni. Anni prima però - era il 1994 - nasce Frontex, l’agenzia per prevenire l’immigrazione clandestina lungo le frontiere. C’era Frontex anche nel 2006, quando la Guardia civil spagnola si era spinta fino alle coste della Mauritania e del Senegal per intercettare e bloccare 371 immigrati. Sono ormai cinque anni che il Paese è tra i più attivi in fatto di prevenire l’immigrazione clandestina. I risultati sono arrivati subito.
In gran parte si devono al Sive, il Servizio Integrato di Vigilanza Esterna, un muro elettronico unico al mondo fatto installare dall’ex premier popolare Aznar nel 2002 che grazie a radar e telecamere a raggi infrarossi e sensori termici blinda le Canarie, lo stretto di Gibilterra e la costa mediterranea. Ma dietro ai successi anche gli accordi con i paesi d’origine.
Come ha fatto l’Italia con la Libia. Per questo il nostro Paese durante l’ultima estate ha potuto tirare un sospiro di sollievo.
Sono bastate tre settimane di respingimenti per non vedere più i duecento, trecento clandestini riversati ogni giorno sulle coste, stremati, affamati e assetati raccattati, carrette ferme tra Malta e l’Italia, corpi gettati in mare. Disperazione contrabbandata. Ma dietro al successo c’erano questa volta soprattutto gli accordi diplomatici. La sinistra gridava alla «vergogna internazionale». Sempre la stessa la risposta di Maroni: «I respingimenti continueranno, sono in linea con le norme internazionali».
Oggi a tremare è la Grecia, dove i flussi sono aumentati del 70 per cento. È Atene la meta più ambita dagli illegali, complice l’inerzia della Turchia, con una rotta che parte dall’Afghanistan per attraversare l’Irak e tutto il Caucaso.

Per questo la soluzione sembra essere una barriera lungo 12,5 chilometri del confine con la Turchia. Creare un muro lungo il corso del fiume Evro che segna il confine tra i due Paesi. Un altro ponte levatoio che si alza.

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