Ragazzo gay annuncia il suicidio: «I miei genitori sono all’antica»

Confessa tutto in chat. Un amico chiama la polizia che corre a casa e racconta la storia alla madre

da Frosinone

Il ragazzo ha quindici anni. Vive in un paese della Ciociaria, a due passi da Cassino. Qui, da anni, lui si sente un estraneo. I genitori sono gente all’antica, brave persone, tanto lavoro, molto decoro, chiesa, orgoglio, la vita scandita dalle consuetudini di sempre, l’uomo è uomo, la donna è donna, il resto è perversione. Non sono genitori cattivi, appartengono solo a un altro secolo, a una società in cui l’imprevisto è una casella straordinaria e, come nel Monopoli, chi ci capita sopra rischia di pagare pegno.
Il ragazzo ha quindici anni e cerca un altro mondo. I giorni e le notti le passa in una chatroom in cerca di qualcuno che un po’ gli assomigli. Lui è gay e i genitori non lo sanno. Lo guardano scrivere parole davanti al computer, un po’ si preoccupano, un po’ sono anche orgogliosi. Non sanno nulla della sua amarezza.
Poi arriva una sera come tante altre. Il ragazzo è più solo del solito. Ha conosciuto una persona in chat e un po’ si è innamorato. Poi è rimasto deluso. Ora ha voglia di sfogare rabbia e mandare a quel paese un mondo troppo stretto. Parla, nella chat dove s’incontrano i gay, con un amico. Si sfoga, si racconta e quando sei protetto da un nickname è tutto più facile. Puoi essere chi vuoi. Puoi fingere di essere ciò che sei. «Io, così, non vivo più - scrive -. I miei genitori sono molto all’antica e non mi accetterebbero mai per ciò che sono». L’unica via d’uscita è la morte. Il ragazzo pensa al suicidio. Il suo amico capisce che la cosa è seria. Chiama la polizia. Gli agenti partendo dal nick risalgono in breve tempo alla linea telefonica del computer. Ora sanno l’indirizzo di casa.

Corrono, bussano alla porta. Apre una donna. È la madre del ragazzo. La donna guarda gli agenti e pensa al peggio. I poliziotti invece raccontano tutto. La donna piange, ma poi sorride. Un figlio gay non è un figlio morto.

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