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Il ragioniere che sussurra ai potenti dell'economia

Ha fondato il più grande studio fiscale d'Italia. Ma non capisce i politici e qualche magistrato

Il ragioniere che sussurra ai potenti dell'economia

Alla soglia dei 75 anni (compiuti nell'agosto del 2022) Giuseppe Pirola ha deciso di scrivere un libro; come titolo ha scelto un'orgogliosa rivendicazione: «Il ragioniere». Sì, perché per tutti, dai colleghi alle segretarie del suo mega-ufficio milanese, Pirola è, appunto, il «ragioniere» e basta. Anche se, a ben guardare, la qualifica gli sta un po' stretta, visto che ha fondato il più grande studio di consulenza fiscale (e legale) d'Italia.

La sua creatura ha, come si usa, un nome di quelli interminabili: «Pirola, Pennuto, Zei & Associati», 750 tra commercialisti, avvocati, dottori e PhD, nove sedi nella Penisola, uffici a Londra, Pechino, Shanghai e Hong Kong. Da ragioniere, Pirola è stato consulente, e in qualche caso confidente, di imprenditori e finanzieri del calibro di Bernardo Caprotti, ha conosciuto da vicino e per motivi molto diversi tra loro magistrati come Antonio di Pietro, politici come Beniamino Andreatta, e contestatori professionisti come Mario Capanna. Dalla finestra del suo studio ha visto passare, come dice lui stesso, «cinquant'anni di economia italiana».

La storia inizia a Cernusco sul Naviglio, oggi hinterland borghese della Milano metropolitana, ma nel 1947, anno di nascita di Pirola, paesone che ha ancora tutto il sapore della campagna lombarda. Il papà è operaio e nei momenti liberi agricoltore con il nonno. E proprio mentre lavora in campagna un incidente gli stronca la vita. Giuseppe ha 14 anni e di studiare (o almeno di studiare come tutti gli altri ragazzini) non se ne parla più; inizia a lavorare come garzone-factotum e a frequentare le serali: prima avviamento commerciale e poi istituto tecnico. Alla fine il faticato diploma arriva e con il diploma l'impiego in un piccolo studio dove si occupa di paghe, di Ige (imposta generale sulle entrate, spazzata via dalla riforma fiscale degli anni Settanta), di tutto un po'. Il suo racconto assomiglia a quello del protagonista de «Il posto», uno dei più bei film di Ermanno Olmi, con la Milano degli uffici e degli enormi stanzoni pieni di contabili che la mattina arrivano con il treno dalla campagna e, rigorosamente a mano, fanno tornare i conti delle aziende del boom.

Il ragazzo è ambizioso e si iscrive all'Università Cattolica. Non ha molto tempo da perdere, ma è il periodo della contestazione e lui partecipa a un'unica assemblea studentesca. Subito si accorge di avere problemi diversi da quelli degli studenti «borghesi»: «se non studiavo dovevo lavorare». Nelle aule della Cattolica un incontro che gli è rimasto nella memoria. Deve fare l'esame di matematica, uno dei più difficili: «mi trovo Mario Capanna che guida un picchetto e impedisce lo svolgimento dell'esame. La sessione salta, nei mesi successivi mi porto avanti con altri esami, ma matematica rimane lì». Poi un po' alla volta l'impegno professionale diventa sempre più assorbente e la laurea passa in second'ordine: «non posso certo addebitare tutte le colpe a Capanna. Non ho avuto la forza di insistere con l'università perchè avevo scelto di dedicarmi al lavoro». E guardando indietro scherza: è così che il titolo di ragioniere è diventato «una sorta di brand personale, un marchio di fabbrica».

Di lavoro in lavoro, all'inizio degli anni Ottanta nasce lo studio professionale che porta il suo nome. E tra giornate che non finiscono mai («nella mia vita ho lavorato tantissimo: ricordo 16 ore filate e magari anche un paio di giorni di seguito alla scrivania») arrivano i grandi clienti. La regola è quella del passaparola: «Io ripeto spesso che il nostro marketing da sempre lo fanno lo Stato e l'Agenzia delle Entrate... in questi anni l'affastellarsi di circolari, interpretazioni ed altri interventi ha provocato una complicazione del rapporto tra fisco e contribuenti».

Pirola si specializza nel fare da tutore ai grandi gruppi internazionali che hanno bisogno di una guida nel labirinto fiscale italiano. Non solo. Tra i clienti più noti, insieme a decine di altri imprenditori, c'è Bernardo Caprotti, il fondatore di Esselunga. I due si vedono sempre di sabato («è l'unico giorno libero che ho, mi diceva Caprotti»). Ma solo dopo che l'imprenditore ha visitato almeno due o tre dei suoi punti vendita per controllare ogni cosa. «È stato un uomo tutto orientato al suo lavoro, duro, come hanno dimostrato le vicende che hanno intrecciato la vita della società e i legami con i figli». L'unica condizione che Esselunga pone a Pirola è che non abbia rapporti di alcun tipo con le cooperative. Insieme, il ragioniere fiscalista e Caprotti risolvono una delle più bizzarre querelle con l'erario, il problema dell'insalata nei supermercati: «Quando entra in negozio alle sette del mattino, è fresca, ma dopo qualche ora bisogna pulirla e buttare via qualche foglia», spiega Pirola. «In conclusione, vengono venduti meno quintali di quelli che sono entrati. Gli altri dove sono finiti? Alla fine abbiamo vinto un lungo contenzioso, durato anni».

Di tutt'altro tipo è il rapporto con i magistrati come Antonio Di Pietro. I due si conoscono ai tempi di Mani pulite, quando Pirola, nei consigli sindacali di decine di grandi società, viene convocato spesso. «Solo che Di Pietro, durante l'interrogatorio, era molto meno simpatico che in tv». Un'occasione diventa particolare. «Per lui si traduceva in un nome grosso e molto appetibile, Silvio Berlusconi. Sono sicuro che se si fosse trattato di un'altra persona, quella contestazione non ci sarebbe stata, ma erano tempi così». Alla fine il giudizio sulla categoria non è entusiastico: «negli anni non mi sono fatto una grande opinione della magistratura. Burocrazia, incompetenza, arroganza, voglia di trovare necessariamente un colpevole. Ci sono tanti ottimi magistrati, ma la mia esperienza personale, putroppo non è stata del tutto positiva».

Altrettanto circospetto è il giudizio sui politici. Nel suo libro Pirola ne ricorda uno di cui non fa il nome ma che è chiaramente riconoscibile come Gianni De Michelis. Pirola deve gestire il magazzino della società cinematografica Gaumont e cerca l'attenzione della controparte pubblica. Il ministro lo riceve al Number One, una delle più note discoteche di Roma, circondato da belle figliole con poco addosso. Pirola parla di lavoro, il suo interlocutore gli risponde facendo un riferimento diretto alle esigenze di finanziamento della politica e chiedendogli di cedere il magazzino di film della Gaumont a un suo stretto congiunto. Il ragioniere lombardo si ritira in buon ordine senza commenti.

I suoi rapporti con Roma e la politica finiscono qui.

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