Roma - «Se devo mettermi i guantoni da pugile, problemi non ce ne sono... ». È prima mattina quando Silvio Berlusconi legge l’intervista di Goffredo Bettini al Corriere della Sera, una sorta di sigillo ufficiale sulla fine del bon ton elettorale. L’ultimo atto, commenta il Cavaliere in privato con i suoi collaboratori, di una vera e propria escalation iniziata martedì con la battuta di Walter Veltroni sulla sua età («con Agrigento siamo arrivati alla tappa 71, più o meno gli anni del mio avversario»), andata avanti mercoledì con la querelle su Porta a porta e conclusasi ieri con l’affondo del braccio destro del segretario del Pd con tanto di paragone tra l’ex premier e il leader dell’ultra destra francese Jean Marie Le Pen. Il «segnale più evidentemente», chiosa Berlusconi, che «sono in grande difficoltà», praticamente «alla disperazione». E per questo «tornano all’antiberlusconismo militante», al quale - ragiona il Cavaliere - «non si può non replicare» pure se «vedrete che domani diranno tutti che sono io quello che ha archiviato il fair play». D’altra parte, spiegherà a sera, «i giornali intingono la penna nel rosso della sinistra». Un concetto che un deputato di casa a Palazzo Grazioli sintetizza così: «C’è da chiedersi perché un quotidiano che dovrebbe essere super partes come Il Sole-24 ore ieri aveva un inviato a seguire Veltroni a Caltanissetta e nessuno dietro a Berlusconi a Viterbo... ».
Così, il Cavaliere i guantoni se li mette davvero. Anche perché tra le conseguenze dell’addio al fair play ci sta pure quello che da qualche giorno è un rumors insistente nei Palazzi della politica, ripreso ieri da Europa, quotidiano della Margherita. E cioè che nelle regioni già vinte o già perse il Pd sia tentato dal favorire il cosiddetto voto disgiunto per dare una spinta affinché la Sinistra Arcobaleno o l’Udc scavallino il fatidico quorum dell’8% al Senato. Il che significherebbe, alchimie della legge elettorale, che il Pdl dovrebbe dividersi la quota di senatori attribuiti ai perdenti o ai troppo vincenti con Bertinotti o Casini e con conseguente riduzione della forbice di vantaggio a Palazzo Madama. È anche per questo che Berlusconi decide di ribaltare la questione: «Se uno vuole votare Casini, magari perché è un bel fioeul, lo faccia pure. Ma alla Camera, non al Senato». Un concetto su cui torna più d’una volta: «Bisogna spiegare a tutti coloro che sono del centrodestra come il voto ai partiti minori, soprattutto al Senato, può portare in qualche regione a una vittoria dell’altra parte». Il caso di scuola è quello del Lazio.
Ma la giornata del Cavaliere - sia la mattinata davanti all’assemblea di Confartigianato che il tardo pomeriggio durante lo Speciale elezioni nella sede dell’Adnkronos - è fatta soprattutto di affondi contro Veltroni, Antonio Di Pietro e il Pd. Dicendo no a Porta a porta, attacca, l’ex sindaco di Roma ha commesso «un atto violento» e «inaccettabile» («lo capisco, è stanco, ma il fatto che non voglia andare in tv non significa che non ci debba andare neanche il leader dell’opposizione»). D’altra parte, aggiunge, è «un già visto» perché «avvenne anche con Prodi» nel 2006. Una scelta, spiega Berlusconi, che deriva dal fatto che «Veltroni e Bettini hanno la consapevolezza dei sondaggi». Insomma, «sono vicini alla disperazione» perché «sono cadute tutte le loro promesse da fiction». Gli italiani, aggiunge, «devono sapere che la Rai è ancora in mano alla sinistra che la domina come e quando vuole».
Ma gli affondi più duri sono per Di Pietro e, dice facendo con le dita il gesto del denaro, per «la mostruosità del partito dei valori». E ancora: «Mi fa orrore chi non ha rispetto per gli altri e rovina le persone sbattendole in galera quando sono innocenti. Ho paura di gente così». Insomma, «un partito di giustizialisti» e se il Pd ha deciso di averli come alleati significa che «anche loro sono giustizialisti dalla testa ai piedi». D’altra parte, aggiunge rispolverando il vecchio assioma del Pci-Pds-Ds, il Pd è «l’ultima mimetizzazione dei comunisti italiani» in cui ci sono «gli stessi protagonisti del Pci tranne qualche candidatura spot come quella della ragazzina, del finto operaio e del finto precario». Poi, per dire che né Veltroni né Di Pietro («entrambi pensionati») taglieranno mai i costi della politica, si affida a una metafora: «Mai visto dei tacchini presentare una mozione per anticipare il Natale».
A sera, quasi a fare il verso al suo avversario, torna sulla sua età. Perché, ammette, «con Internet ho poca dimestichezza». Insomma, «mi sa che hanno ragione quando dicono che sono troppo vecchio per governare». Così, si definisce «un matto» che a 71 anni si candida per la quinta volta alla guida di un Paese che versa in condizioni «drammatiche». Poi, torna a snocciolare i sondaggi che danno il Pdl in vantaggio di «oltre otto punti». Con «un solo incubo» che è «quello dei brogli» perché «in questo sono dei professionisti».
Una «preoccupazione» sulla quale sta lavorando. Tanto che a pranzo incontra a Palazzo Grazioli i «difensori del voto» arruolati per il 13 e 14 aprile a cui viene consegnata una denuncia standard da presentare in caso di conta irregolare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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