Ho sempre pensato di avere il controllo del progresso. Intendo quello di tutti i giorni. Non il progresso che ti spara sulla luna. Per dirla con un pizzico di eleganza, ho sempre pensato di avere il controllo del progresso prêt-à-porter. Utile, accessibile. Usavo Skype quando lo conoscevano solo olandesi e giapponesi perché serviva. Avevo la casa cablata quando il wi-fi era ancora un singhiozzo perché era utile. Ora ho però scoperto di essere rimasto indietro. E se voglio continuare ad addomesticare, devo aggiornarmi.
L'ho compreso domenica scorsa a Barcellona, dopo una giornata spesa a raccontare di F1 e Ferrari vittoriose. L'ho capito parlando a cena con un amico, un collega, un compagno di viaggi per il mondo. Fra noi, a dividerci, oltre a un pulpo gallego, c'erano due modi d'intendere la vita. Io vintage, lui 2.0. E 10 anni. Io più vecchio e lui più giovane. Stava provando a convincermi del nostalgismo insito nel vivere vintage. Non c'è riuscito. Ritengo che molto del progresso elettro-digital-techno sia indispensabile e ci migliori la vita; ma che di una grande parte potremmo fare a meno non perché una volta era meglio bensì perché quell'oggetto, quel modo di vivere restano attuali ed efficienti e non hanno bisogno di versioni 2.0.
Solo che rientrando in hotel mi è tornata in mente la giornata lavorativa appena trascorsa al circuito. Mentre io raccontavo la gara di F1 prendendo appunti, scrivendo l'articolo e aggiornando il blog, sentendomi già superuomo multimediale, lui, l'amico e collega, stava contemporaneamente sui suoi appunti, sul suo articolo, sul suo blog, sul suo twitter, sul suo facebook e sul suo Google drive in un'apoteosi multitasking per me inarrivabile. Ecco.
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