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RAM Le metamorfosi dello stile

A Forte dei Marmi una mostra evidenzia la poliedrica creatività di stampo tipicamente futurista del fratello meno noto di Thayaht

Scrivevo l’anno scorso, nel recensire la mostra tenuta al Mart di Rovereto su Ernesto Michaelles, detto «Thayaht», e sintomaticamente titolata «Thayaht. Futurista irregolare», che per capire la complessità dell’«universo Michaelles» prima o poi si sarebbe dovuto considerare anche l’opera del fratello Ruggero, a sua volta ribattezzato con la sigla Ram, dalle iniziali del nome Ruggero Alfredo Michaelles. E ora giunge a proposito la mostra «Ram e Thayaht da Parigi a Casa Bianca», nell’ambito de «L’Estate incantata» di Forte dei Marmi.
La mostra, curata da Antonio Paolucci e Anna Vittoria Laghi, rivolge finalmente l’attenzione anche sul fratello meno noto di Thayaht e cioè su quel Ram che ha più volte messo in crisi critici e storici dell’arte per via della sua innata ecletticità, ovvero l’impossibilità di ingabbiarlo in una corrente, in uno stile. Non che lo stesso Thayaht fosse da meno, ma dei due, Ernesto fu decisamente quello che più si avvicinò alla poetica futurista, soprattutto per quanto concerne la sua produzione plastica che, sebbene limitata per numero di opere, può contare su alcuni capolavori assoluti. Mi riferisco alla Vittoria dell’aria, del 1931, appunto nella collezione del Cirulli Archive, oppure a Timoniere, del 1930, Tuffo, del 1932, o ancora a Liberazione dalla terra, del 1934, appartenente invece al Mart di Rovereto, solo per citarne alcune: tutte opere dove la ricerca dell’essenzialità e delle linee aerodinamiche è stata portata sino agli esiti più alti.
Ma si tratta solo della punta di un iceberg nel complesso del lavoro di Thayaht: un cuneo conficcato nel fianco del Futurismo e che per questo gli valse quell’affiliazione. In realtà, e la mostra di Rovereto lo ha dimostrato, Thayaht era ben altro e molto di più. Dai suoi esordi esemplarmente Art Déco (sulle cui linee s’innestò la sua produzione futurista), sino alla sua particolare declinazione post-impressionista dell’opera di Gauguin ed all’interesse senile per il fenomeno ufologico. Insomma, un vero e proprio «irregolare», come del resto tanti altri futuristi proprio perché il cosiddetto Secondo futurismo, cioè quello che venne dopo la morte di Boccioni, tale fu: una grande apertura a centottanta gradi verso chi amava l’avanguardia piuttosto che la restaurazione del Ritorno all’Ordine, e che dunque si raggruppò sotto l’ombrello futurista. Basti pensare, a questo proposito, che sul finire degli anni Trenta i futuristi ospitarono gli astrattisti nelle loro sale, dopo che questi erano caduti (anche in Italia) sotto la mannaia nazista dell’Arte degenerata.
Ora, se possiamo ben definire Thayaht un «futurista irregolare», e questa esposizione lo dimostra ulteriormente chiarendone, piuttosto, la sua matrice Art Déco, che dire del fratello Ruggero alias Ram? Occupandomi personalmente anche di grafica delle avanguardie storiche devo ammettere che Ram mi è sempre piaciuto in modo particolare proprio per via di quella sua innata propensione alla mimesi stilistica, cioè al mettersi a disposizione delle esigenze della committenza, oppure a cogliere il trend stilistico, la vague del momento. Spesso mi accadeva di trovarmi di fronte ad un bozzetto per una copertina di rivista realizzato da Ram che sembrava un... Sironi, e subito dopo ad un altro che sembrava un... Erberto Carboni. E se questo da un punto di vista strettamente artistico può apparire una debolezza (la riconoscibilità è la conditio sine qua non dell’arte del XX secolo), passando invece nell’ambito della grafica pubblicitaria esso è un punto di forza, proprio perché mostra la duttilità, la versatilità, del grafico che è in grado di adattarsi a tutte le necessità del lavoro, a tutti gli stili, alle esigenze della committenza.
Certo, c’è sempre qualcuno che crede, pensa e pontifica sul fatto che vi siano «ancora» artisti di serie A (cioè dediti solo a pittura e scultura) ed altri invece di serie B (che praticano le cosiddette «arti applicate»). Se però pensiamo che Fortunato Depero nel 1931, in apertura del suo Manifesto dell’Arte Pubblicitaria Futurista affermava risolutamente che «l’arte del futuro sarà potentemente pubblicitaria», e ci guardiamo attorno oggi, forse le cose stanno proprio così.
C’è solo da pensare che Ram sia nato troppo presto, perché oggi sarebbe certamente stato uno degli autori di punta. E pur tuttavia ambedue i fratelli hanno sempre coltivato anche la pittura più «alta». Ernesto, dopo l’esperienza parigina presso la casa di moda Vionnet, si ritrova con un’incontenibile ammirazione per l’opera di Gauguin che sin dalla metà degli anni Venti si affianca alla più nota produzione futurista e s’intensifica dopo il secondo conflitto mondiale tanto da dedicarvi una mostra, «Hommage à Gauguin», nel 1950, proprio a Forte dei Marmi. Ram, da parte sua, si dedica spesso alla figura, al nudo, con esiti vicini alla poetica di «Novecento». Realizza così una serie di tele dove dipinge donne che sono la risultante di una rimeditazione idealizzata di quei corpi, di quei volti.

Si tratta di opere «piene», autonome, che mai farebbero pensare che il loro autore, come tanti, faceva pubblicità «anche» per mangiare. Ma poi l’arte questo era: un lavoro, seppur elevato, ma un lavoro.
LA MOSTRA
L’Estate incantata.

Ram e Thayaht da Parigi

a Casa Bianca

Fortino di Forte dei Marmi.

Fino al 17 settembre.

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