Rao, solitario illuminato da una Luna magica

Fuori da ogni corrente, il pittore napoletano Massimo Rao ha inseguito i suoi fantasmi. E li ha catturati

Il pianeta privo di corso (Massimo Rao)
Il pianeta privo di corso (Massimo Rao)

Quando la vita si interrompe, l'arte muta il suo corso. Entro metafora, il fiume si fa lago. Le opere si distribuiscono in un percorso che, avendo un inizio e una fine, ti impone di definire un perimetro chiuso, come il tempo che è stato. Ma lui non se ne è andato. Attraverso le sue opere rimane. Così, nel dizionario che ricorda vita e opere di Massimo Stanislao Rao, nato a San Salvatore Telesino il 6 gennaio 1950 e morto a San Venanzo, vicino a Terni, il 6 maggio 1996, leggiamo che «è stato un artista italiano». No: è un artista italiano. Una cosa è il tempo della vita, il cui corso è finito; altra cosa è l'opera che resta. Ed è viva, presente. E Rao è vivo con lei, e in lei.

Eravamo pressoché coetanei e, nel mondo difficile degli anni Settanta e Ottanta, condividevamo l'idea di un'arte che non fosse sperimentazione di mezzi alternativi, per provocazione, denuncia sociale, impegno civile, e altre scorciatoie per non artisti autoproclamatisi tali. Il ricatto di quegli anni era così forte che chi sapeva dipingere, dal remoto Pietro Annigoni al più vicino Riccardo Tommasi Ferroni, era isolato, negato, compatito, fuori da ogni legittimazione critica, nonostante la sotterranea attenzione di un mercato che, nel suo stesso nome, non poteva evitare (ma disconoscere, sì) i cosiddetti artisti commerciali. Che voleva dire, esclusivamente, figurativi. La figura era morta con Giorgio Morandi, il quadro era stato definitivamente biffato da Lucio Fontana. La pittura decomposta o combusta. Oltre, un deserto di relitti e rifiuti, esaltati come espressione dello «spirito del tempo». Un ragazzo meridionale, che vede quanto è nudo l'imperatore, per schiarirsi gli occhi risale da Napoli, dove aveva studiato architettura, a Bolzano. Regione autonoma, altro mondo. Nondimeno, in America e nel mondo imperversava Andy Warhol e, in Europa e nel mondo, imperversava Joseph Beuys.

Ma i tedeschi e i sudtirolesi sono duri e cocciuti, meno sentimentali dei meridionali che subito naturalizzano gli eroi stranieri. Così come sarebbe accaduto con Maradona, un napoletano d'ingegno, Lucio Amelio, restituisce dignità culturale a Napoli, intercettando grandi personalità non locali che interpretano originalmente la terra e il fuoco di Napoli: appunto Warhol e Beuys. Una iniziativa intelligente e una occasione prestigiosa, in piazza dei Martiri, nel cuore di Napoli. In due mosse Napoli torna al centro del mondo. Un vero terremoto. Per il povero Rao, sognatore di San Salvatore Telesino, invece, non c'è spazio né scampo. A Bolzano egli può coltivare, solitario, le sue illusioni, trovare un angolo remoto del mondo, per i suoi sogni, per la sua nostalgia di bellezza, per Sissi e Ludwig che, pure, in quegli anni, Luchino Visconti ripropone in una personalissima attualità. Si può dipingere quello che Visconti nei suoi film racconta? Rao pensa di sì. A Bolzano gli può accadere di trovare le impronte di un se stesso «comportamentista», applicato non ai colori ma al suo stesso corpo, nell'altrettanto onirico, e attratto dal mito, Luigi Ontani. E, per convincersi che la pittura non è morta, studia il grande tedesco dell'Est, di Lipsia, Werner Tübke. Tanto gli basta per dare corpo ai suoi sogni. E naturalmente essi si nutrono del passato recente che, nell'arte, porta il nome di Simbolismo: Gustave Moreau, Odilon Redon, Franz von Stuck, Ferdinand Khnoppf e, ancora, i Preraffaelliti, in particolare Edward Burne-Jones. Rao vive con loro e non li sente affatto estranei e lontani, dopo che Kandinskij ha rinunciato a essere cavaliere per nuovi e imprevedibili percorsi interiori. Quella data 1910 Rao non intende superarla. Si è fermato lì, al confine e, per andare avanti, si guarda indietro. Il suo percorso sarà illuminato dalla luna, non dal sole dell'avvenire. E dalla sua notte egli non vorrà più uscire. Così, insistentemente, darà un volto alla luna, facendola continuamente apparire all'orizzonte. Il suo cammino resta solitario, anche se non è solo. Negli stessi anni, per altre strade, per altri sentieri, si muovono pittori della nostalgia, essenzialmente per nostalgia della pittura, con diverse stelle polari: Carlo Maria Mariani, Jean Pierre Velly, Wainer Vaccari, Omar Galliani, Bruno D'Arcevia, Alberto Abate, Stefano Di Stasio, Lino Frongia, Aurelio Bulzatti. Citazionisti, neo-figurativi, neo-simbolisti, anacronisti, diverse denominazioni per definire storie simili e percorsi paralleli di artisti, più o meno della stessa generazione, che continuano lo stesso cammino. Quello di Rao si è interrotto ma, oggi che possiamo delimitarne i confini, egli ci appare più di ogni altro coerente e ostinato nel presidiare l'orizzonte dei suoi sogni. Figure solitarie che portano nei loro volti l'impronta del desiderio e della malinconia. Angeli, profeti, che raccontano mille e una notte, mentre, dietro di loro o al loro fianco, la luna argentea o impietrita, perpetua delusa, li assiste e li protegge.

Panneggi, fantasiosi turbanti, tendaggi per scenografie di opere tardo romantiche, Elettra, Salomè, in dipinti dai titoli allusivi e ammiccanti: Il giorno fiammeggiò nei suoi occhi e le sue dita colsero le stelle, Né in cielo né in terra, Antenato della terra dei sogni. Cosa fanno i personaggi inventati da Rao? Sono creature fatte della materia dei sogni, icastiche e sfuggenti, fino a dar corpo a un Ritratto sognato due volte. Per tutto questo Rao coltivò una tecnica molto sofisticata, con la sapienza e il mestiere di un maestro antico, applicandosi a ogni ricerca non solo pittorica ma grafica. Acquarello, matita, carboncino, nell'ambito del disegno; acquaforte, acquatinta, punta secca, maniera nera, nell'ambito dell'incisione. Tanto che Gerd Lindner poté scrivere: «Capace di tanto con il bulino considero solo Rembrandt». La tecnica non sarebbe bastata se Rao non l'avesse abbinata con il suo spirito, producendo immagini senza tempo o, meglio, senza relazioni con il nostro tempo.

Davanti alla sua opera siamo attratti in un mondo di fantasmi, non meno presenti e vivi di quanti ti circondano, viventi e privi d'anima.

Rao ha vissuto e vive con loro.

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