Rapine in banca, gang sgominata

Patricia Tagliaferri

C’era il fabbro, che realizzava le chiavi con cui aprire le serrature blindate di banche e uffici postali e il dipendente dell’Ama, che forniva le divise dell’azienda capitolina per effettuare i sopralluoghi sui luoghi prescelti per i colpi senza dare troppo nell’occhio. Erano tutti professionisti del crimine i malviventi arrestati ieri dalla squadra mobile (cinque di loro erano già in carcere). Tredici persone (ma solo 11 ordinanze sono state eseguite) di due gruppi collegati tra loro: il primo, composto da dieci banditi, dedito alle rapine, il secondo allo spaccio di sostanze stupefacenti. Entravano e uscivano di prigione, sempre pronti ad una nuova azione. Tanto che il gip Maria Giulia Croce, nell’ordinanza di custodia cautelare, evidenzia «l’abitualità a delinquere» mostrata dai membri della gang, che potevano contare anche sull’aiuto di insospettabili, incensurati con ruoli ben definiti. «Si alzavano la mattina come tutti gli onesti lavoratori - spiega il capo della Mobile, Alberto Intini, - ma andavano a fare i sopralluoghi presso banche e poste».
Sette rapine in due anni, con bottini di varia entità, da un massimo di 130mila euro a poche migliaia di euro, per un totale complessivo di circa 300mila euro. Due i colpi falliti a causa dell’intervento della polizia che, grazie a pedinamenti e intercettazioni, dal maggio del 2005 conosceva in anticipo le intenzioni dei banditi. Proprio in occasione di una delle due tentate rapine, il 5 dicembre del 2005 alla Banca del Fucino di via Bonfante, gli agenti arrestarono il capo della banda, Giuseppe Medile, 57 anni, e Antonio D’Andretti, di 52. Due mesi prima, durante l’altro tentativo fallito, alla Banca di Roma di via Casilina, furono ammanettati Fabio Giglio, 35 anni, e Massimiliano D’Alessandro, di 38, entrambe processati con il rito abbreviato e condannati a un anno e quattro mesi di reclusione, pena già scontata. D’Alessandro, poi, era personaggio noto agli investigatori: faceva parte del gruppo ultrà «boys» della Roma e in più di un’occasione è stato protagonista di scontri con le forze dell’ordine. C’era anche lui a Brescia, nel novembre del ’94, quando fu gravemente ferito un vicequestore. Ad individuare gli obiettivi era Medile. Era lui ad ordinare ai suoi uomini, prima di ogni colpo, di effettuare servizi di osservazione per verificare gli orari di prelievo e consegna dei fondi, la presenza o meno di guardie giurate e i sistemi d’allarme. Un’operazione facilitata dalle divise degli operatori ecologici dell’Ama fornite da Moccero, ora agli arresti domiciliari. Nel corso dei sopralluoghi in alcuni casi la banda è riuscita a prelevare le impronte delle porte secondarie di accesso alla banca, che il fabbro di origine calabrese (denunciato a piede libero) poi riproduceva. Una volta i rapinatori sono stati capaci di sostituire il vetro della porta blindata del Banco di Sicilia di Pietralata con una lastra di plexiglas più facile da rimuovere al momento del colpo, il primo addebitato al gruppo. È il 6 giugno del 2003 e il bottino è di 30mila euro. Il 24 settembre dello stesso anno la rapina al Banco di Sardegna di via Nomentana frutta 130mila euro. Poi, per due anni, a causa di alcuni arresti, il gruppo si ferma per un po’.

Rientra in azione nel 2005: il 2 marzo tocca al Monte dei Paschi di Siena di via Balla, il 26 agosto al Banco di Roma di viale Somalia, il 20 settembre all’agenzia Bnl di via Collatina, il 6 ottobre all’ufficio postale di via Matteucci, il 29 novembre all’Antonveneta di via Andrea Doria.

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