Rapporti difficili

RomaFini chi? No, non siamo ancora a questo punto, ma insomma, tra Giorgio Napolitano e il presidente della Camera ormai c’è solo freddezza. Se l’è trovato al fianco il 20 dicembre, nel Salone dei Corazzieri, per lo scambio di auguri natalizi tra le alte cariche dello Stato. Lo rivedrà stamattina, sempre nello stesso luogo, sempre seduto accanto, e dovrà celebrare anche con lui la giornata della memoria. Incontri formali, di protocollo, un sorriso e una stretta di mano. Il rapporto istituzionale è un’altra cosa, e quello è andato da tempo, da quando Gianfranco Fini è diventato capo di un partito.
La situazione, vista dall’ottica del Colle, si è fatta piuttosto spinosa: sì, il presidente della Camera ha perso la sua terzietà, ma non ci sono strumenti, anche volendolo, per farlo dimettere, perché, come ha spiegato proprio Napolitano, «non esiste una procedura di revoca». Da qui l’«imbarazzo», che con il passare delle settimane si è trasformato in fastidio fino a sfiorare l’irritazione. Eppure all’inizio il presidente della Repubblica l’aveva persino difeso. Ad agosto, quando lo scandalo della casa di Montecarlo era appena scoppiato, aveva messo in guardia dalle «pericolose pressioni delegittimanti di una funzione essenziale, che va preservata da speculazioni e attacchi politici». A settembre aveva rimandato al mittente in maniera più o meno aperta le tante richieste di intervento: non spetta a me, non rientra tra le mie prerogative.
Ma già in autunno il vento è cambiato. Con l’arrivo delle prime carte e soprattutto con l’accelerazione della discesa in campo di Fini, sul Colle è subentrato un certo «disagio», aumentato lentamente e progressivamente. La svolta decisiva nei rapporti tra i due palazzi risale però al discorso di Bastia Umbra del sei novembre, quando il capo del Fli, nonostante i ripetuti appelli del capo dello Stato alla stabilità e alla prudenza, ha annunciato l’assalto finale al Cav, poi fallito. Due anni prima Napolitano aveva considerato insensato il continuo attacco del presidente della Camera di allora, Fausto Bertinotti, il cui partito era al governo, contro il premier dell’epoca, Romano Prodi. Due anni dopo, come poteva apprezzare la replica, sia pure con interpreti diversi?
Fatto sta che da quel momento Gianfranco Fini si è ritrovato isolato, anche dal punto di vista istituzionale. Se, nella triade, un tempo era lui l’interlocutore privilegiato di Napolitano e Renato Schifani, considerato troppo berlusconiano, restava un po’ ai margini, adesso il triangolo si è clamorosamente rovesciato: il presidente del Senato, approfittando del profilo troppo politico del suo collega di Montecitorio, ha provveduto a sfilargli il ruolo e si è proposto come nuova sponda del Quirinale. E infatti quasi non passa giorno senza una nota o un commento di Schifani di sostegno e di rilancio delle esternazioni presidenziali.
Niente di personale. Però, così dicono, le comunicazioni tra Napolitano e Fini si sono ridotte al minimo indispensabile. E sicuramente il capo dello Stato non deve aver gradito le ultime uscite del presidente della Camera.

Quella di due settimane fa, quando ha detto di non aver mai preso in considerazione le dimissioni: «Mi si possono contestare posizioni politiche, ma non l’incapacità di rappresentare la Camera e l’imparziale gestione dei lavori d’aula». O quella dell’altro giorno: «Mio cognato mi ha assicurato che lui non c’entra niente». Poi sono uscite le carte di Santa Lucia, Caraibi...

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica