Ravel, raffinatezze e malinconie di un grande

Jean Echenoz racconta gli ultimi anni del musicista

Terminato il lungo bagno, Maurice Ravel esce dall’acqua e «infila un accappatoio d’un raro color perla... si rade senza omettere neppure un pelo, si pettina senza trascurare neppure un solco, si strappa un sopracciglio indocile... prende il lussuoso nécessaire per manicure in finissimo marocchino a grana lucertola con fodera di raso capitonné posato sulla toeletta fra spazzole per capelli, pettini d’avorio e flaconi di profumo e, dato che l'acqua calda ha ammorbidito le unghie ne approfitta per regolarne in modo indolore la lunghezza». Il musicista raggiunge poi l’amica che lo attende in macchina per accompagnarlo a Parigi, alla stazione di Saint-Lazare. Qui Ravel, mentre attende il treno per Le Havre, da dove in nave raggiungerà gli Stati Uniti, fuma, come è solito fare, una Gauloise dopo l’altra. Legge sull’Intransigeant le notizie dell’esecuzione di Sacco e Vanzetti e dell’inaugurazione della Salle Pleyel. È il 1927. Morirà dieci anni dopo.
Il Ravel di Jean Echenoz (Adelphi, pagg. 116, euro 14), è una biografia, più che un romanzo, degli ultimi anni del compositore francese, avvincente per la capacità narrativa dell’autore nel raccontare con singolare minuziosità ed una precisione quasi fotografica la vita del musicista. Echenoz riesce a delineare in ogni sfumatura il profilo dell’uomo e dell’artista, le sue abitudini, i pensieri, gli oggetti e l'ambiente in cui vive.

Ecco il Ravel impeccabilmente elegante in ogni ora del giorno, (ma anche della notte, vista la cura con cui sceglie tra i suoi numerosi pigiami) che indossa le camicie pastello, il cappotto con pellegrina, oppure che passeggia in completo bianco e nero, la paglietta in testa e il bastone da passeggio; il Ravel che tiene concerti negli Stati Uniti tra un tripudio di folla ed a cui persino Gershwin chiede lezioni di composizione; l’artista che vive in solitudine nella piccola casa di Montfort-l’Amaury, nei pressi di Parigi, piena di statuette, ninnoli, giocattoli a molla e tenuta in ordine dalla governante, l’uomo dalla cortesia fredda, tormentato dall'insonnia, dalla malinconia, dalla stanchezza, dalla noia e da piccoli malanni e che compone fumando o se ne sta disteso sul letto rileggendo una frase della Freccia d’oro di Conrad: «Che altro avrebbe potuto fare del resto?».

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