Pier Augusto Stagi
Il Principe di Sanremo al servizio del Re delle Fiandre. Filippo Pozzato al servizio di Tom Boonen, ultimo vincitore della corsa che per i fiamminghi è molto più di una gara ciclistica. Per questo popolo, che ha nel proprio Dna la bicicletta, è una sorta di rito laico, di festa nazionale di gente orgogliosa della propria identità. «È una delle corse più belle e affascinanti dell'intero calendario mondiale - ci racconta Pozzato, compagno di squadra di Boonen e Bettini nel team belga Quick Step -. C'è grande attesa, grande aspettativa. Sappiamo d'essere la squadra da battere e Tom sa di essere il faro di questa gara: un po' per la maglia iridata che da settembre si porta sulle spalle; un po' perché fino ad oggi ha vinto già undici corse; un po' anche perché un anno fa è stato lui, a soli 24 anni, a vincere la corsa più importante per i fiamminghi».
Grande attesa, per un risultato che pare anche fin troppo scontato: anche se nello sport, e in particolare nel ciclismo, di scontato c'è ben poco...
«È vero, la logica dice Boonen: è in grande forma, sente la corsa in modo particolare, noi come squadra stiamo bene e siamo forti, ma li avremo anche tutti contro. Per molti, la vera vittoria, sarà solo quella di farci perdere. Noi dovremo essere bravi a vendere cara la pelle. Dovremo inventarci qualcosa di bello».
Come a Sanremo...
«Quel giorno la squadra di riferimento era la Milram di Petacchi. Noi fummo molto bravi a metterla in mezzo, a sfiancarla, a sfruttare tutte le nostre pedine».
Cosa si prova, dopo aver vinto una classica monumento come la Sanremo, a tornare nei ranghi e mettersi al servizio degli altri?
«Il discorso non è proprio così. Quando decisi di correre per la Quick Step sapevo quale sarebbe stato il mio ruolo. E poi, in un team così attrezzato e forte, se hai gambe buone, puoi prenderti i tuoi spazi. Come del resto ho già fatto a Sanremo».
Con quello di domani sarà il quarto Fiandre.
«Esattamente. Ho fatto il mio esordio nel 2003. Ero in maglia Fassa, e venivo da una Sanremo conclusa con una caduta: sei punti interni e dodici esterni sulla gamba. Mi fermai a 40 chilometri dal traguardo. L'anno successivo bucai a metà corsa e restai tagliato fuori. L'anno scorso mi sono staccato quando al traguardo mancavano 30 chilometri: ero sfinito, ma la mia condizione di forma non era quella attuale».
Cosa è cambiato da quel magico 18 marzo?
«Sono sempre lo stesso, solo molto più sereno e convinto dei miei mezzi. È aumentato l'interesse attorno alla mia persona, e lo sto riscontrando anche qui in Belgio. Loro impazziscono per Tom, ma anch'io mi difendo bene».
Beh, tutti e due siete i volti belli del ciclismo...
«Come direbbe una velina: l'aspetto è importante, ma noi abbiamo anche qualcosa di più».
Quale sarà la chiave del Fiandre?
«Saranno diciassette i muri da affrontare, il primo dopo 145 km (Molenberg), anche se fondamentale sarà il terzo (km 174, lOude Kwaremont): lì sarà importante tenere le posizioni, affrontare quei viottoli in testa è fondamentale, se non si vuole rimanere bloccati nelle retrovie o coinvolti in qualche caduta. Poi, se si sta bene, basta restare lì e aspettare gli ultimi tre muri: il Tenbosse (dove scattava Museeuw, posto al km 232), il muro di Grammont (il muro per antonomasia) e infine il Bosberg, posto a 12 chilometri dal traguardo».
Chi saranno secondo te gli uomini da tenere d'occhio?
«Tolti il sottoscritto, Paolo Bettini e Tom Boonen, vedo molto bene Alessandro Ballan (sesto un anno fa, ndr), George Hincapie e Andreas Klier (secondo alle spalle di Boonen nel 2005, ndr). Poi occhio al vecchio Peter Van Petegem».
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