Real rivincita

Un delirio onnipotente e forse divino tanto che la Copa del Rey ha tentato il suicidio gettandosi sotto le gomme del pullman che girava con gli eroi per Plaza de Cibeles.
Ufficialmente era fra le mani di Sergio Ramos il quale non è riuscito a darsi una spiegazione: «Eravamo sul tetto del nostro pullman a festeggiare, ma non mi è caduta, è stata lei stessa a saltare via quando ha visto così tanti tifosi in piazza... Comunque tranquilli, sta bene, solo qualche graffio». Stordito perfino l’autista che se l’è vista precipitare davanti al parabrezza ma non ha battuto ciglio, ha proseguito ancora per qualche metro fino a quando la coppa, incastrandosi fra le ruote, ha bloccato il mezzo. Avvolta da quest’aurea misteriosa, la coppa è diventata il primo titolo di Mourinho al Real Madrid e adesso la gente in Spagna si è convinta che il Barcellona si possa tirare giù solo così, alla Josè, prima l’Inter, adesso il Madrid: «Paura durante la finale? - ha risposto il tecnico -. Quando giochi contro il Barcellona non hai neppure tempo di respirare. Ma ogni giocatore sapeva cosa doveva fare».
Sacrificio, undici a difendere, contropiede vecchio stampo: «La gente non è abituata a vedere un Real Madrid così organizzato e caratteriale, forse piace di più un Real che ogni tanto perde». Lo aveva già anticipato in pubblico anche a quell’immensa icona di Alfredo Di Stefano che lo aveva tumulato tacciandolo di bieco difensivismo. E Josè si era permesso di ricordargli che l’allenatore adesso era lui: «Non so se la stampa madridista si auguri che il Real vinca, ma sono certo che i tifosi stanno dalla mia parte». Ha infilzato Guardiola con il più scarno e imbarazzante dei contropiede, triangolo fra Marcelo e Di Maria, palla in mezzo, Cristiano Ronaldo che si alza come Pelè all’Azteca, fine del secondo clasico. Sa di non aver risolto niente, il permaloso entourage del Madrid prevede musica e trionfi, eppure è il primo allenatore di tutta la storia del club più prestigioso del mondo ad aver vinto quattro coppe nazionali in quattro paesi diversi dopo Porto, Chelsea e Inter. Una copa del Rey che da queste parti non vedevano dal 1993.
I suoi agiografi sono al lavoro per stabilire con esattezza il momento in cui l’ha detto, ma appena chiusa la contesa, Josè avrebbe confidato ai suoi che la gente, in fondo, è di una superficialità che gli mette malinconia: «Ho sempre a che fare con qualche mediocre che mi critica».
Qualcosa deve averci questo portoghese, il Barcellona era la più forte la scorsa stagione e l’ha buttata fuori dalla Champions, è la più forte quest’anno e gli ha sfilato il primo trofeo. E per chiudere ha parlato dell’Inter, anzi della sua Inter, benedicendo la conferma di Leonardo: «Non è un dramma se quest`anno non arrivano trofei, ma sono sicuro che questa mia vittoria avrà fatto felici tutti gli interisti. Deve ricostruire per la prossima stagione, è sempre la mia Inter. Moratti e i suoi collaboratori hanno ottime capacità e Leonardo è un allenatore che può fare strada. Ora contano il secondo posto in campionato e la coppa Italia».
Sessantamila in piazza, 14milioni e 172mila davanti al tv color, la finale di coppa più vista della storia.

E mentre la coppa tentava il suicidio Josè era già lontano, una macchina della sicurezza messa a sua disposizione da Florentino Perez lo aveva prelevato in Plaza de Cibeles per una destinazione ignota. A Jorge Valdano il rumore del nemico deve essere arrivato forte e chiaro.

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