Letizia Moratti prima lo ha detto e poi lo ha anche scritto. Per elaborare il programma avrebbe usato un metodo: il suo.
Apriti cielo, spalancati terra. «La Moratti non ha un programma»; «non c'è un'idea per Milano», e via di questo passo.
Il giorno che presentò la sua candidatura a sindaco di Milano disse che avrebbe iniziato una raccolta di idee e suggerimenti da far confluire in un programma.
È bastato mettere a disposizione spazi dove far conoscere le proprie idee ed è stata un'autentica fiumana: 700.000 contatti tra sito e blog e call center, rappresentanti delle più varie categorie ed istituzioni, soggetti dell'associazionismo e, infine, i partiti della Casa delle libertà da cima a fondo. Qualche giorno fa ha diffuso un libriccino dove sono indicati cento possibili progetti e ha dato inizio ad una nuova fase di ascolto che si svolgerà nei quartieri di Milano. Dopo questa farà conoscere il suo programma definitivo.
Uno potrebbe dire: «Che noia, che grigiore». Non è così, è un'altra cosa: è il realismo di chi sa che deve mettere insieme vari elementi difficilmente coordinabili fra di loro. Si tratta dei bisogni della gente, delle loro idee, dei loro progetti, delle loro attese, dei loro desideri. E poi, come se non bastasse, occorre verificarne la fattibilità, la possibilità di metterli insieme, di farne una sintesi e verificare se ci sono i soldi per realizzarli.
Diceva Sant'Ambrogio che la carità si fa con il cuore ma si fa anche con considerazioni umane, psicologiche e, non ultimo, con l'aritmetica. O si fa di conto o si fa della demagogia a buon mercato. Se questa città ha un problema programmatico, in queste elezioni a sindaco, esso non riguarda il centrodestra.
Sul «metodo Moratti» si può discutere fino alla noia. Si può, (...)
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