«Massimo Ciancimino? Mi convince e non mi convince, mischia cose vere e cose false». E per questo motivo sulle sue dichiarazioni occorreranno «riscontri esterni, come chiede unormai consolidata giurisprudenza». Giuseppe Di Lello è stato per tanti anni giudice istruttore a Palermo, ha lavorato accanto a Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Leonardo Guarnotta in quel pool antimafia creato e voluto da Antonino Caponnetto. E con i colleghi di allora mise in piedi il primo maxi processo a Cosa Nostra. Unesperienza lavorativa unica, che oggi lo rende «perplesso», per lo meno su alcune delle deposizioni che sta rendendo il figlio dellex sindaco di Palermo. Al tempo stesso Di Lello è però deciso nellescludere la necessità di un intervento legislativo per evitare, anche da parte di chi come Ciancimino non è un pentito, dichiarazioni a rate e abusi: «Le regole sulle prove sono pericolose, tutto va lasciato al libero apprezzamento del giudice», dice senza ombra di dubbio. «E poi cè abbastanza giurisprudenza - sottolinea Di Lello, che dopo aver lasciato la magistratura è stato consulente dellAntimafia, europarlamentare e senatore con Rifondazione comunista - che dice che queste dichiarazioni di per sé non hanno valore, vanno riscontrate; che insomma bisogna procedere con i piedi di piombo».
Una prudenza più che mai necessaria nel caso di Massimo Ciancimino: «Sta facendo parlare un morto, suo padre. E i morti - sottolinea Di Lello - non sono attendibili. Inoltre Ciancimino parla di cose che risalgono a quando era piccolissimo e che gli avrebbe riferito suo padre. Mi pare strano che lui ne sia venuto a conoscenza». E se gli si chiede di spiegare quali sono le affermazioni di Ciancimino che puzzano di falso, Di Lello risponde: «Racconta che il padre fosse dispiaciuto del sacco di Palermo, proprio lui che è stato tra i distruttori della città. Che ora il primo sindaco della mafia debba parlare per bocca del figlio non può che lasciarmi perplesso».
Di Lello non è lunico, tra gli ex sodali in quegli anni di Falcone e Borsellino, a mettere in dubbio le dichiarazioni di Ciancimino. «Non credo a una parola di quanto detto da Ciancimino. E queste storie le abbiamo già viste e sentite. Sono parole che non giovano altri che a Berlusconi, si vuole sollevare un gran polverone e screditare così la figura dei pentiti in generale». Così leurodeputato dellItalia dei Valori Pino Arlacchi, tra i creatori della Direzione investigativa antimafia e amico di Falcone, ha commentato le deposizioni di ieri di Ciancimino. «Ciancimino - ha ribadito Arlacchi - ha una posizione giudiziaria interessata ed ha una scarsa attendibilità, a tanti anni di distanza.
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