Reck, bacchetta di classe tra «Diluvio» ed «Enfant»

Il direttore guida un ottimo cast attraverso il raro dramma di Stravinskij e la fiaba di Ravel

Alberto Cantù

da Verona

Si era detto un gran bene del doppio spettacolo prodotto dal Teatro delle Muse di Ancona: un dittico novecentesco - due opere brevi - con il raro The flood (Il diluvio), ultimo lavoro drammatico di Igor Stravinskij, e quella squisitissima «fiaba lirica» su testo di Colette che s’intitola L’enfant et les sortileges (Il bambino e gli incantesimi) che vede Maurice Ravel diviso fra parodistici scatenamenti pieni d’ironia e abbandoni lirici d’una straziata bellezza che lasciano senza fiato. Bene. Da Ancona il dittico Stravinskij-Ravel è approdato a Verona, al Teatro Filarmonico, per la stagione dell’Arena, splendida creatura di Daniele Abbado (figlio di Claudio) che qui trova i titoli giusti per il suo talento e la squadra vincente formata da Carla Teti (costumi d’una fantasia dirompente), Graziano Gregori (le scene giuste) ed Eugenia Morosano per coreografie in novecentesca punta di penna.
Si aggiunga un cast eccellente, il coro preparato al meglio da Marco Faelli e la bacchetta solida ma fantasiosa di Stefan Anton Reck che ottiene da un’orchestra usa ai Trovatori e alle Aide sotto le stelle i migliori risultati possibili in partiture ostiche e arcaicizzanti (Stravinskij con la «rappresentazione rituale» dal Caos al Peccato Originale, da Lucifero-Satana al Diluvio universale) o di ipervirtuosistica raffinatezza come la fiaba di Ravel. Dove un bambino discolo e annoiato distrugge gli oggetti della sua stanzetta che allora prendono vita e gli si rivoltano contro, ferisce i piccoli animali di casa che ingigantiscono terribili finché la pietas - cura la zampetta ferita dello scoiattolo - lo risveglia dall’incubo, dopo i sensi di colpa instillati a mo’ di flebo da quella terribile madre (è un Ballet pour ma fille) che doveva essere la scrittrice francese.
Abbado disloca sapientemente in quadri remoti il rito stravinskijano. Nell’Enfant traduce incubi, deliri, tenerezze con una passerella mozzafiato di oggetti-animali-personaggi (spesso un attore doppia il cantante) visti con la lente deformante della fantasia o del sogno. In Stravinskij c’è un dio bifronte, ovvero due bassi che svolgono assieme, con una polifonia medioevale, la parabola (George Mosley e Alessandro Paliaga), mentre Lucifero febbrile è il tenore Luca Canonici, eccellente come i cinque recitanti e i sobri mimi. Ravel, bambino vecchio del Novecento, «distrugge» quel melodramma che è ormai impossibile recuperare. Lo fa con una rassegna di cento stili o generi teatrali: dall’operetta al musical, dal valzer al fox-trot, dal belcanto al lirismo francese della Principessa: una mirabile Ruth Rosique - prima è il Fuoco tutta vocalizzi infervorati -, così come bimbo credibilissimo per allure e vocalità è Anna Bonitatibus.

L’ottimo Reck propende per il rigore di Stravinskij, ma sa scovare in Ravel suoni lividi e dissonanze di solito presi sottogamba. Il pubblico risponde bene al Diluvio e benissimo all’Enfant. Operazione vincente con molti giovani e anche papà, mamma e figli per Colette.

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