Da febbraio a luglio, tutti i giorni tranne il sabato e la domenica. Bellaffare trovare lavoro in centro per Giuseppina, 30enne romana, sposata e con due bambini, che per portare qualche euro a casa accetta, a inizio del 2004, un incarico a termine presso una ditta di pulizia che ha sede nel centro storico della capitale. E, cinque mesi dopo, se ne pente amaramente. Non sono i ritmi troppo serrati né la routine di ogni mattina a farla rammaricare della scelta. Bensì un occhio - elettronico - di scarsissimo riguardo. Quello che ogni mattina, per cinque mesi, le ha rivolto quella specie di «grande fratello» allamatriciana che risponde al nome di Iride, mentre Giuseppina assonnata guidava la sua auto fino al lavoro, in una Roma ancora addormentata. Ogni giorno, la ragazza varcava i confini invisibili della Ztl poco dopo le 6, convinta di essere in regola. E invece, lunica cosa regolare era lo scatto digitale della telecamera, che archiviava la targa dellutilitaria di Giuseppina.
Così, passati cinque mesi, la ragazza riceve due brutte notizie in pochi giorni. La prima botta la prende quando la sua ditta non le rinnova il contratto, e quindi Giuseppina si ritrova senza lavoro. E poi, qualche giorno dopo, le arriva la poco gradita visita a domicilio di un messo comunale. «La solita multa», pensa ottimista lei. E invece le contravvenzioni sono 103, tutte da 80 euro, per un salasso totale di 8.240 euro.
Passato lo shock, accertato che non si trattava di uno scherzo, il primo pensiero di Giuseppina è che avrebbe fatto un miglior affare a passare quei cinque mesi a casa, visto che per pagare le multe non basta tutto quanto ha guadagnato con le quotidiane levatacce. Il secondo è trovare un modo per non sottostare a quella che per lei ha tutta laria della beffa. Così decide di fare ricorso al giudice di pace. Spende un bel po di soldi per le 103 pratiche in fotocopie e carta bollata, e finalmente - accorpati i ricorsi, arriva di fronte al giudice per dire la sua. Non ha un avvocato, e quello del Campidoglio non sembra volerle dare consigli, così la sua linea difensiva è un po ingenua, e il risultato disarmante. «Non sapevo dellesistenza della Ztl», sussurra Giuseppina. E la «sentenza» è di condanna: deve pagare quelle multe, tutte e 103. La donna non si arrende, si rivolge a unassociazione di tutela degli automobilisti, presieduta dallavvocato Giacinto Canzona. Che si fa raccontare la sua storia, resta di sasso e, comunque, la tranquillizza. Forse, ricorrendo in cassazione, potrà risparmiare gran parte di quegli 8mila e passa euro. «Giuseppina - spiega Canzona - avrebbe dovuto invocare larticolo 8 della legge 689 del 1981.
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