Il record di Phelps nella storia senza sorridere

È l'atleta più medagliato ai Giochi: sorpassata la Latynina. Ma è beffa d'argento nei 200 farfalla. L'oro solo nella 4x200sl

Conta in acqua, Micha­el. Da uno a 19 e ferma­ti: è la storia, ma è triste. Re­spira: è la leggenda, ma è cu­pa. Nessuno meglio di lui: 19 medaglie olimpiche. Pri­mo di sempre, ma secondo nella gara che lo consegna all’immortalità.Cinque centesi­mi di eternità vigliacca. Phelps è un dio dello sport sofferente. Abbassa la te­sta di fronte al mondo e poi riappare sul podio. Diciannove non è un numero, è la certificazione di aver rag­giunto il limite: tutto il possibi­le, tutto l’immaginabile.Scan­sati Larisa Latynina, il mito è mio, voglio essere lo sportivo più forte di tutti i tempi. Acco­modati Mike. Però qui non è come a Pechino: lì doveva vin­cere otto ori. E otto ne prese. L’ob­bligo di Londra erano due medaglie. Ec­cone tre: un oro e un argento nella staffetta e l’argento nei duecento farfalla. La sua gara, quella dove nuota come se fosse nella vasca di casa. Quella che lo porta dove nessuno è mai arrivato senza sorridere, perché non sarà mai come se fosse arrivato primo. È un record senza emozione, que­sto. È la fine dolceamara di una sto­ria meravigliosa, perché potremo avere altri talenti scintillanti, po­tranno esserci altri atleti alla Bolt, tutti felicità e sfacciataggine, po­tr­emo innamorarci di facce simpa­tiche e di tipi brillanti. Però diffici­l­mente avremo un altro Phelps. Ed è la differenza che passa tra un flash e una fotografia. Brilla di più il primo, resta la seconda.
Non è lo stesso di quattro anni fa, Michael: è vulnerabile, è batti­bile.
Sono cambiati gli obiettivi: qui c’era questo record, la fine di un lavoro cominciato ad Atene. Michael è come un militare: quel­lo che dici fa, organizzato, prepa­rato, costruito. È il talento creato. «It’s my job», dice. È il suo lavoro. Due? Due. Tre? Tre. Phelps può sbagliare, ora può anche perdere, ma non può fallire. Phelps è un mostro, un superuomo, un prodi­gio. Lo sportivo perfetto, che non c’entra con l’uomo perfetto.Dagli un obiettivo e lo raggiunge. L’ha preso, è suo, ma fa male, anche a uno come lui. A un diversamente normale. L’acqua gli ha dato una vita che l’aria non gli avrebbe ga­rantito. Respira, spinge e conta. La piscina ha cambiato tutto: «Tuf­fati e non si vedranno più le orec­chie », è il consiglio che gli diede il primo allenatore. Perché era un bimbo complessato dalle parabo­le che gli fanno da contorno al vi­so.
Un fenomeno che non ha para­goni, Phelps. Larisa Latynina, la ginnasta sovietica che aveva il re­cord di medaglie olimpiche pri­ma di lui, apparteneva a un’altra epoca. Oggi lo sport ti spreme di più, oggi lo sport ti distrugge pri­ma. L’oro di questo record depres­so Phelps non lo prende da solo, ma grazie agli altri. Chiuderà tra pochi giorni: finisce Londra e fini­sce la sua carriera. Sarà fuori, a 27 anni. Non sa neanche che cosa fa­rà. Non gli importa. Doveva pensa­re al record, punto. Essere un pre­destinato è una dannazione. Se sbagli una bracciata perdi le cer­tezze. Phelps ha sbagliato di tre centimetri:s’è preso la gloria,non la felicità. È il corpo che è cambia­to.
«Io so solo nuota­re », disse prima di Ate­ne 2004. E fino a oggi ha nuotato ogni giorno del­l’anno, compresi Natale, Capodanno, Ringraziamen­to, Indipendenza, Labour day. Diceva che così aveva 52 giorni di allenamento più degli altri: «La mia giornata? Mangia­re, nuotare, mangiare, dormire, mangiare, nuotare, mangiare, dormire».
Ora è diverso. Ora è un altro mondo. Ha fatto corsi di comu­nicazione perché sembrava troppo imbalsamato in ogni in­tervista, ha lasciato la casa della madre per andare a vivere da so­lo, s’è sciolto. Ha imparato a
sorridere fuori e s’è intri­stito in piscina.
Ha ca­pito come funzio­na il giro dello showbusiness: ap­pena arrivato qui a Londra s’è pre­sentato facendo il video della squadra di nuoto che balla in ae­reo. Poi ha fotografato i giornali­sti: «Così mi ricorderò di voi quan­do avrò smesso». Cioè adesso.
Il record dei record è lo starter: tre, due, uno. Si comincia qual­cos’altro. Finita per sempre la sta­gione del Ritalin, il farmaco che gli aveva dato il medico per curare quella strana malattia: Attention-Deficit Hyperactivity Disorder. È l’iperattività,è il disturbo dei bim­bi che non sanno stare fermi, che non riescono a rilassarsi. Il resto della terapia è stata l’acqua. Ci ha regalato un atleta unico, incredibi­le, assoluto. Un pezzo d’America difficile e vincente, la forza di un Paese che ha sempre voglia di es­sere davanti agli altri. Nei momen­ti complicati l’hanno definito lo specchio della provincia annoia­ta che non sa dove incanalare la sua energia e spara. Quella del Bat­man di Aurora. È il pregiudizio ver­so l’America poco chic, quella del­la villetta con la bandiera piantata nel prato, quella con la tv via cavo accesa a ogni ora. Michael è figlio di quel Paese, sì. E l’energia l’ha buttata in vasca:una casa d’acqua che vale il mondo. Ha vissuto lì vent’anni esatti. Ne aveva sette quando lo fecero tuffare la pri­ma volta. Esce ora, uomo pesce che si toglie le branchie. Ha il naso per respirare. Ha le orec­chie per sentire. Ha il cuore per vivere. Campione di tutto e campione di tutti. Con il suo record triste. Guadagna tra i 15 e i 20 milioni di dollari l’an­no, ha sponsor che lo strapa­gano.

Ha comprato un cen­tro acquatico dove si vende­rà lo stile Phelps, una specie di università del nuoto, un’accademia dove impa­rare a essere come lui. Esporterà il suo brand nel mondo, ovunque ci sia un mercato pron­to ad accoglierlo. Ci­na? Cina. India? India. Brasile? Brasile. Non ci sono limiti per uno che batte ogni limite. Ba­sta solo che ci sia l’acqua.

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