Reggio Calabria, errore del giudice E tre mafiosi tornano in libertà

Locri (Reggio Calabria)Per un errore del gip distrettuale di Reggio Calabria tre presunti affiliati alla cosca Cordì di Locri, Domenico Cordì, Cosimo Ruggia e Domenico Panetta, arrestati con altre 24 persone nel settembre scorso nell’ambito dell’operazione «Shark», sono stati scarcerati su disposizione della corte di cassazione. Domenico Cordì è il figlio di Cosimo Cordì, ucciso nel 1997 in un agguato nell’ambito della faida con i Cataldo. Ruggia, secondo le risultanze investigative, è uno degli affiliati della cosca Cordì, mentre di Domenico Panetta si è parlato nel processo per l’omicidio del vicepresidente del Consiglio regionale della Calabria Francesco Fortugno, ucciso a Locri nel 2005. Sarebbe stato lui a fornire agli assassini di Fortugno le schede telefoniche protette per evitare di essere intercettati.
La scarcerazione è stata disposta dopo che la Suprema Corte ha accolto il ricorso che era stato presentato dall’avvocato Eugenio Minniti, difensore di uno dei tre, precisamente Domenico Cordì, che aveva chiesto ed ottenuto l’annullamento della contestazione dell’aggravante delle modalità mafiose fatta dal Tribunale della libertà di Reggio Calabria nei confronti di Domenico Cordì, accusato di favoreggiamento nei confronti di un altro presunto affiliato alla cosca Cordì, Pietro Criaco, già arrestato in una precedente operazione. Accusa contestata anche a Ruggia e Panetta. I tre erano finiti in carcere in seguito all’operazione della direzione distrettuale Antimafia di Reggio Calabria «Shark». Alla base c’erano le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, Domenico Novella e Bruno Piccolo (morto suicida in località protetta), le intercettazioni telefoniche ed ambientali e, novità importantissima, le denunce di due commercianti. Un’azione che aveva decapitato la cosca Cordì, una delle più potenti della Locride. L’operazione aveva certificato l’interesse delle cosche per gli appalti pubblici, con la famiglia Cordì che si avvaleva di due affiliati i quali, attraverso imprese, si infiltravano negli appalti di importanti opere del territorio banditi dal Comune e dall’Asl di Locri, quali l’ospizio, il palazzetto dello sport e la scuola magistrale. Dalle indagini era emerso che i vertici della cosca, sia quelli considerati i capi storici, Antonio e Vincenzo Cordì, che i loro figli, uno dei quali scarcerato ieri, avevano continuato a fare parte integrante della stessa durante il periodo di carcerazione e nonostante il regime del 41 bis, riuscendo comunque a mandare messaggi all’esterno.
Quindi parliamo di soggetti di tutto rispetto. Ma il primo gip che vergò l’ordinanza di custodia cautelare Carlo Alberto Indelicati non condivise le conclusioni della procura distrettuale e per queste tre persone escluse le modalità mafiosa, non riportando però, erroneamente, nelle motivazioni le sue conclusioni, che per questi tre, l’associazione non era gravata dal metodo mafioso. Successivamente il tribunale della libertà a cui si erano rivolti i difensori per la scarcerazione degli imputati, invece, ha riconosciuto che l’aggravante del metodo mafioso esisteva, quindi rigettando la richiesta dei legali della difesa disponeva che gli imputati restassero in carcere. Ma la sentenza della Cassazione ora ha stabilito che: «Annulla per il reato l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al tribunale di Reggio Calabria». Ma il gip Indelicati replica: «Nessun errore da parte mia.

I tre presunti affiliati alla cosca Cordì di Locri sono stati scarcerati semplicemente perché sono decorsi i termini della custodia cautelare». Ma in pratica c’è stato un pasticcio tra giudici con la conseguenza che i tre adesso sono nuovamente in libertà.

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