Il regime birmano: San Suu Kyi resta prigioniera

Roberto Fabbri

Niente da fare. Anche questa volta la giunta militare birmana ha deluso le attese di quanti avevano sperato che ieri, allo scadere dell’ennesimo periodo di arresti domiciliari, Aung San Suu Kyi, la più nota oppositrice del regime, sarebbe stata finalmente rilasciata. I segnali incoraggianti rilevati (la visita di un’ora concessa a un inviato dell’Onu dopo due anni di dinieghi, le dichiarazioni del capo della polizia sulla non pericolosità della prigioniera, la rimozione da parte di alcuni poliziotti delle barriere poste intorno alla casa della leader politica) si sono dimostrati illusori. Allo stesso modo, le pressioni internazionali esercitate sul capo dello Stato birmano, generale Than Shwe - a lui si erano appellati tra gli altri il segretario generale dell’Onu Kofi Annan e la presidenza di turno austriaca dell’Unione europea -, si sono rivelate inutili.
Aung San Suu Kyi, dunque, resterà agli arresti domiciliari per un altro anno, ed è più che probabile che allo scadere di questo termine gliene vengano inflitti degli altri. Sembra che la prospettiva di una liberazione nella giornata di ieri fosse effettivamente aperta, ma che il colloquio di venerdì mattina tra il rappresentante del governo e la sessantenne signora di ferro dell’opposizione (che ha trascorso in carcere o agli arresti domiciliari complessivamente dieci degli ultimi diciassette anni) sia andato molto male: a Suu Kyi sarebbe stata proposta unicamente una libertà condizionata, con restrizioni del diritto di movimento.
Tutto continua come prima, quindi. Aung San Suu Kyi rimane chiusa nella sua casa, coi fili del telefono tagliati e nessuna visita dall’esterno consentita: uniche eccezioni, la sua collaboratrice domestica e un medico, quando è necessario. Anche gli oltre mille altri detenuti politici rinchiusi nelle carceri del Myanmar restano dove sono. Ma nonostante la delusione, alcuni rappresentanti del partito di cui la prigioniera è leader - la Lega nazionale per la democrazia, in sigla Nld - hanno comunque celebrato l’anniversario della trionfale (e mai riconosciuta dal regime) vittoria elettorale del 1990, quando alla Nld furono virtualmente attribuiti 392 seggi su un totale di 485.
La decisione della giunta birmana di prolungare la carcerazione domiciliare di Aung San Suu Kyi ha provocato grande delusione a Bruxelles: «È davvero molto spiacevole - ha detto il Commissario agli Affari Esteri Benita Ferrero-Waldner -.

Rinnoviamo al governo birmano l’appello per la liberazione di questa donna». E anche gli Stati Uniti hanno fatto sentire la loro voce: «Invitiamo il regime birmano a rilasciare lei e gli altri detenuti politici», ha dichiarato il portavoce del Dipartimento di Stato, Sean McCormack.

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