Regole certe per le frequenze Ipse

Gentile Direttore,
Le scrivo con riferimento all’articolo di Maddalena Camera pubblicato l’altro ieri sul suo giornale dal titolo «Ipse, le frequenze vanno ai gestori», relativo appunto all’allocazione delle frequenze che la società telefonica Ipse aveva acquisito tramite gara e, a seguito delle vicende richiamate nell’articolo, tornate nella disponibilità del ministero delle Comunicazioni.
La prima considerazione è legata alla cospicua fideiussione che il ministero dell’Economia più o meno misteriosamente non incassa, quasi che un contenzioso possa avere non capisco quali benefici. Su questo argomento vige infatti un clima quasi omertoso, e comunque inspiegabile.
L’altro tema è rappresentato dall’affermazione del ministro Gentiloni riportata in virgolettato: «La riassegnazione non avverrà tramite gara ma con un criterio di ripartizione tra i gestori di telefonia mobile».
Se non ci troviamo di fronte a una semplificazione giornalistica, è necessario precisare come le norme in materia di assegnazione delle frequenze non consentano spazi di eccessiva discrezionalità.
A livello comunitario, a iniziare dalla direttiva “quadro“ si richiede espressamente e a più riprese che esse siano ripartite e assegnate dalle autorità nazionali in funzione di una serie di obiettivi e principi, nonché - in particolare - secondo criteri trasparenti, non discriminatori e obiettivi che tengano conto degli interessi democratici, sociali e culturali connessi con l’uso della frequenza.
Pertanto, già nel provvedimento che funge da «cornice» per le norme in materia, agli Stati membri viene imposto espressamente l’obbligo di garantire che l’assegnazione di tali radiofrequenze da parte delle autorità nazionali di regolamentazione sia fondata su criteri obiettivi, trasparenti, e non discriminatori.
Nella direttiva «autorizzazioni», che tratta specificamente delle tematiche relative alle risorse trasmissive e alla loro allocazione, i principi che ho citato vengono scolpiti e dettagliati ulteriormente, senza possibilità di equivoci: là dove la richiesta di frequenze radio superi l’offerta, si precisa, è necessario applicare procedure adeguate e trasparenti per l’assegnazione. A tal fine, le autorità nazionali di regolamentazione dovranno assicurare, nello stabilire i criteri di gara o di selezione comparativa, che si ottemperi agli obiettivi di tutela della concorrenza e degli utenti indicati nella direttiva quadro.
I diritti di uso delle radiofrequenze, quindi, debbono essere concessi mediante criteri e procedure pubblici, trasparenti e non discriminatori (salvi criteri e procedure specifici adottati per i servizi radiotelevisivi), e nel caso in cui il numero di diritti d’uso sia limitato è previsto, fra l’altro, che lo Stato membro inviti a presentare domanda per i diritti medesimi, dopo aver deciso la procedura da seguire.
Ancora, là dove lo Stato membro ritenga possibile concedere un numero supplementare di diritti d’uso si richiede che la decisione sia resa nota, invitando a presentare domanda di assegnazione. Dunque, agli Stati membri non è consentito - come potrebbe sorprendentemente ipotizzarsi a una prima lettura dell’affermazione del ministro Gentiloni - assegnare diritti esclusivi o speciali per l’utilizzo di radiofrequenze; bensì, essi sono devono effettuare l’assegnazione in base a criteri di selezione obiettivi, trasparenti, proporzionati e non discriminatori.
Il sistema normativo cui ho fatto cenno, poi, è stato recepito nel nostro ordinamento dal Codice delle comunicazioni elettroniche, che riprende quasi testualmente le disposizioni comunitarie. In particolare si prevede che, qualora sia necessario concedere in numero limitato diritti d’uso delle frequenze, il ministero inviti a presentare domanda e ne effettui l’assegnazione in base a procedure stabilite dall’Agcom.


Appare dunque evidente come la procedura di assegnazione debba rispettare una specifica normativa, che sicuramente non permette corsie preferenziali o gestioni non sufficientemente accurate.
Gianluigi Magri
Commissario Agcom

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