Renée Fleming: «Vi canto Strauss e faccio la turista»

Il soprano, star del Met di New York, sarà domani alla Scala con Antonio Pappano. In programma pagine da «Capriccio», «Rosenkavalier» e «Till Eulenspiegel»

Piera Anna Franini

da Milano

Dietro le quinte della soavità di donna-madonna, il soprano Renée Fleming nasconde il temperamento forte e pragmatico di una star. La Fleming è primadonna al Met di New York, la città dove è cresciuta e tuttora risiede, il suo nome campeggia nei cartelloni dei teatri e delle produzioni che contano. L’avvenenza e lo smalto d’attrice alimentano una ricca galleria di film-documentari (sta per uscire Margaret). La cantante non disdegna di prestare il volto alla Rolex o di ispirare best-seller come il libro Bel Canto di Ann Patchett. Chissà se rammenta la lunga collana di onorificenze e premi: due Grammy Award, «Donna dell’anno», la rivista People l’ha inclusa fra le «25 persone più intriganti». La Fleming in questi giorni è in Italia. Inaugura il soggiorno latino oggi, a Roma, diretta da Antonio Pappano alla testa dell’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia. Prima delle repliche romane di martedì e mercoledì prossimo, domani la Fleming e Pappano raggiungono il teatro alla Scala di Milano e sempre con il programma in omaggio a Strauss: Till Eulenspiegel op 28, Finale da Capriccio, i Quattro Ultimi Lieder e Prima sequenza di Walzer dal Rosenkavalier. Svincolata da Pappano e Santa Cecilia, la Fleming sarà il 3 al San Carlo di Napoli e il 5 di nuovo alla Scala per un recital benefico.
Che sensazione prova a tornare in un teatro, la Scala, che nella Lucrezia Borgia del 1998 non fu proprio gentile con lei?
«È stato un incidente che ho cancellato anche grazie al recital dell’anno dopo. Pochi ricordano il debutto scaligero del 1993, nel Don Giovanni diretto da Muti».
Ritorna dopo anni alla Scala e non ha mai messo piede a Roma, perché canta così poco da noi?
«Programmo le produzioni con molti anni d’anticipo, so già cosa farò fino al 2012. Un sistema che si concilia poco con quello italiano. Considerati gli impegni di famiglia, ho due figlie, ho poi ridotto gli impegni e le priorità vanno al Met benché gradirei tornare più spesso in un Paese così ricco di storia».
La sua seconda casa continua a rimanere Parigi.
«Del resto lì s’è creato un tale feeling che per dieci anni ho cantato interrottamente, quindi mi sono presa questa casa».
Dicono che non sia mai stata a Roma...
«L’ho vista giovedì sera per la prima volta: sono stupefatta».
Cosa farà in questi giorni tra un concerto e l’altro?
«La turista e la mamma. A Milano farò visita alla cantante Magda Olivero e all’amico Ferré».
Amico e firma prediletta, sembra.
«Sì, dal 1998 indosso i suoi abiti ai concerti, ma anche di Issey Miyake, Vivienne Westwood, Bill Blass and Oscar de la Renta».
Due anni fa ha scritto un libro, The Inner Voice. Avrà un seguito?
«Non immediato, sa che m’è costato circa cinquemila ore di lavoro?».
Ha affermato che il suo cuore appartiene alla fine secolo. È una donna nostalgica del passato?
«Ritengo di essere pragmatica, sono ben felice di vivere in questi tempi, la donna dell’Ottocento non godeva certo della libertà d’oggi. Però sono molto legata ai musicisti di quell’era, a Strauss anzitutto».
A suo dire, il Met è il teatro numero uno al mondo, anche grazie a un manager lungimirante.

Chi è il manager ideale?
«Chi ha uno spiccato senso dell’equilibrio, attento a conciliare tradizione e novità, capace di guadagnarsi le simpatie di un pubblico giovane e di far quadrare il bilancio di una industria di duemila persone. Non facile».

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