Renault-Daimler, per una volta Parigi e Berlino sono in sintonia

Carlos Ghosn e Dieter Zetsche sono i top manager che stanno conducendo in porto la nuova grande alleanza tra Renault-Nissan e Daimler, un’intesa che andrà a mutare sensibilmente il panorama automobilistico mondiale. Il fatto che non si tratti di una fusione, ma di uno scambio di azioni quasi simbolico, non riduce la portata dell’accordo che vede riunite le forze di due brand generalisti, che lo scorso anno hanno prodotto, complessivamente, oltre 6 milioni di veicoli, e del marchio premium per eccellenza che nel 2009 ha sfornato 1,1 milioni di autovetture, 260mila truck e 165mila commerciali leggeri. Sulle fusioni, del resto, i due top manager, quasi coetanei (classe 1954 Ghosn, classe 1953 Zetsche) e con una carriera molto simile alle spalle, hanno probabilmente una visione diversa che nasce dall’esito di quelle che hanno vissuto in prima persona.
Ghosn, brasiliano di nascita, genitori libanesi e passaporto francese, è il genio della lampada che nel 1999 il grande capo di Renault d’allora, Louis Schweitzer, ancora scottato dalle nozze con Volvo sfumate qualche anno prima, mise al timone di Nissan Motor dopo l’alleanza stretta con la casa giapponese che in quel momento si trovava sull’orlo della bancarotta. E il piccolo zar non tradì la fiducia del suo mentore, tagliando costi e forza lavoro con un decisionismo che non sarebbe mai stato consentito a un manager giapponese e riportando in nero, a colpi di severi piani quinquennali (il primo, emblematicamente, venne chiamato Renaissance), i conti della casa che da pochi mesi ha inaugurato un nuovo avveniristico headoffice a Yokohama, sua città di origine. Chiave di volta del successo di Ghosn, che dal 2005 è a capo sia di Renault sia di Nissan, è stata la capacità di garantire l’autonomia al brand nipponico, ritenuto il partner più debole dell’alleanza, potenziando il suo know-how in aree strategiche come quella delle vetture a trazione integrale.
Ben diverso da quello di Ghosn è il rapporto di Zetsche con fusioni e alleanze o, come dicono gli americani, i «merger», come quello tra la Daimler, guidata da Jürgen Schrempp, e gli azionisti di Chrysler, siglato nel 1998.
Messo a capo delle operazioni di Chrysler Group nel 2000, Zetsche dovette confrontarsi subito con gli azionisti americani ai quali era stato spacciato come paritetico uno scambio azionario che consegnava di fatto il brand Usa nelle mani dei tedeschi, un dissidio foriero di pesanti class action capeggiate dal miliardario Kirk Kerkorian, alcune delle quali non ancora concluse, e di una scontata perdita di popolarità. Conti sempre più in rosso e la mancanza di idee sul futuro dei marchi di Auburn Hills (Chrysler, Dodge e Jeep) hanno costretto Zetsche, divenuto ceo del gruppo di Stoccarda nel gennaio del 2006, a mollare, l’anno successivo, la presa su Chrysler che, dopo una breve parentesi nelle mani del fondo Cerberus, è passata sotto il controllo di Fiat Group e di Sergio Marchionne (che sul ruolo dei marchi americani ha le idee molto chiare), manager che nutre per Zetsche una stima più volte dichiarata e del resto ricambiata dal tedesco. L’esiguo scambio di capitali che legherà Renault-Nissan e Daimler dovrebbe dunque lasciare molta più libertà a Ghosn e Zetsche di quanta ne consentirebbe un’alleanza più vasta, permettendo ai top manager di scegliere in quali aree cooperare e quanta tecnologia condividere senza che futuri modelli possano ostacolarsi a vicenda. Sull’asse Parigi-Stoccarda-Yokohama correranno nuove city-car nelle quali la competenza di francesi e nipponici sarà decisiva per Mercedes-Benz e Smart, la divisione che dalla sua nascita non ha ancora generato utili; e poi la propulsione elettrica, un campo dove Renault e Nissan sono più avanti dei tedeschi non tanto nella tecnologia quanto nella industrializzazione di elettriche pure come la Nissan Leaf che sarà in commercio entro la fine dell’anno. Da Stoccarda verranno invece messe a disposizione, tra l’altro, trasmissioni e motori per le vetture alto di gamma del brand di lusso Infiniti che a piccoli passi sta cercando di conquistarsi una fetta del settore premium europeo con vetture potenzialmente concorrenti di quelle con la stella.

Non ci saranno sinergie commerciali, ma la forza d’urto complessiva dei tre partner del nuovo accordo (7,6 milioni di veicoli con quasi mezzo milione di addetti e fabbriche nei cinque continenti ) non mancherà di impensierire i concorrenti, soprattutto quelli, come Psa Peugeot Citroën o Bmw, ancora in cerca di un alleato con cui affrontare la nuova sfida del mercato globale dell’auto, talmente impegnativa da mettere d’accordo, per una volta, francesi e tedeschi.

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