Il problema era dove e come farlo correre. Renzo Bossi, il figlio del Senatùr che si prepara al Pirellone, non è un candidato qualsiasi. Con il nome che ha, e la inevitabile sponsorizzazione paterna, potrebbe essere eletto dappertutto e non ha certo bisogno di farsi “bloccare” nel listino, ovvero la quota di consiglieri certi legati alla vittoria del candidato presidente. Senza contare che il leader della Lega potrebbe proporlo come assessore esterno a Sport e giovani senza bisogno di sottoporlo alla prova del voto. È già successo più volte nella storia della Regione, a partire da un altro nome noto, quello di Romano La Russa, fratello del ministro della Difesa, Ignazio.
Giancarlo Giorgetti, segretario della Lega lombarda, rimanda la decisione finale agli organismi del partito: «Il consiglio nazionale e il federale decideranno le candidature. Il figlio di Bossi ha gli stessi doveri e gli stessi diritti di ogni militante. Le voci di una sua candidatura nel listino sono solo indiscrezioni fatte circolare per creare zizzania».
Ma la questione è che la candidatura di Renzo Bossi rischia di alterare più di un equilibrio e non solo all’interno della Lega. Se va a caccia di preferenze, ancor più che se si accomoda nell’elenco sicuro. «In ogni caso gli conviene farsi eleggere, perché un posto lo porta via comunque, anche nel listino» ragiona un esponente del Carroccio che potrebbe approdare nell’elenco bloccato.
Ma la corsa di Renzo crea difficoltà anche sul luogo in cui il rampollo del Senatùr potrebbe mettersi in lizza. Le ipotesi più accreditate sono due: Varese o Milano, ovvero la casa madre del Carroccio o la capitale politica della Lombardia (e non solo). La concorrenza di Renzo Bossi non sarebbe certo gradita agli altri aspiranti consiglieri e d’altra parte al Senatùr non può piacere neppure l’ipotesi di non spingerlo troppo, perché un’eventuale sconfitta sulle preferenze potrebbe essere giocata politicamente contro di lui.
La Lega ha chiesto sei posti nel listino, ma il Pdl spinge per fermarla a quattro o al massimo a cinque. Roberto Formigoni, che come candidato presidente è il numero uno del listino, ha ricordato che gli toccano altri due uomini di fiducia, come è accaduto nella scorsa tornata elettorale, e che il capogruppo Paolo Valentini, varesino a lui molto vicino, va conteggiato in carico al partito. I conti, come sempre, non tornano, e nella distribuzione tra i vertici del Pdl (tre uomini), gli azzurri locali (tre), gli An locali (tre) e la Lega, qualcuno sarà costretto a fare un passo indietro.
Formigoni, intanto, non chiude le porte alle Udc ma chiede «coerenza nelle alleanze» e respinge le accuse di portare avanti una politica condizionata dal Carroccio: «Noi subalterni? La Lega ha chiesto che l’Udc uscisse dalla giunta nel 2008 e abbiamo detto no, lo ha chiesto nel 2009 e abbiamo detto no, per rispetto del patto fatto con gli elettori».
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